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NIL, il bilancio dopo un anno e mezzo di contratti

Armando Bacot NIL
Autore: Isabella Agostinelli
Data: 24 Gen, 2023

1 luglio 2021. Una data che ha cambiato per sempre le regole e la natura della NCAA. Con l’approvazione del “Name, Image and Likeness” (NIL) – una serie di norme che ora consentono agli studenti-atleti di sottoscrivere contratti pubblicitari – si è difatti aperta una nuova era nello sport universitario. Ma dopo un anno e mezzo, qual è il bilancio? Cerchiamo di analizzarlo insieme.

Il basket maschile e femminile: terreno fertile per il NIL

Secondo i dati di Opendorse, una I-Tech company specializzata in attività relative al NIL, il basket maschile e femminile si piazzano nella top 10 degli sport con il maggior numero di contratti.

Se i dati del football e del basket maschile sorprendono poco, il dato più interessante riguarda lo sport femminile in generale. Secondo Craig Bommers, marketing director di American Eagle, il motivo sta nel fatto che “il pubblico è più interessato a conoscere ciò che avviene fuori dal campo. E sotto questo aspetto le atlete hanno un engagement maggiore”.

Tuttavia, un resoconto completo di tutte le attività legate al NIL sono difficili da ottenere per numerosi motivi. La maggior parte delle scuole, per esempio, non rendono pubblici le cifre dei contratti e il totale dei compensi che i propri atleti hanno incassato. Inoltre, all’interno delle norme ad interim relative al NIL, non c’è una vero e proprio riferimento su come e quando dover riportare l’entità dei contratti.

Anche perché le norme dettate dalla NCAA e le leggi dei singoli stati, sono state prese più come “suggerimenti” che come regole. Così, anche se il “pay for play” era stato da subito inserito tra le tipologie di contratti proibiti, tanti sono stati i casi di “booster” (un benefattore locale, di solito un ex alunno facoltoso) registrati in questi primi 16 mesi. Il risultato? L’era dei contratti pubblicitari nello sport collegiale ha finito col diventare tutto ciò che la NCAA non voleva che diventasse.

Il problema del pay-for-play

A maggio era esploso il caso di Nijel Pack e Isaiah Wong, una trattativa di basket mercato più o meno legale fatta alla luce del sole grazie alle nuove “norme”.

Ora a preoccupare di più è il primo NIL siglato da un’intera squadra. Le protagoniste sono state le giocatrici di South Carolina. Lo scorso settembre, le Gamecocks hanno infatti firmato un contratto NIL di 25 mila dollari a testa per l’intera stagione, grazie ad un accordo con il South Carolina NIL Collective Garnet Trust e il NOCAP Sports, fondato dall’ex State Rep. Bakari Sellers e un gruppo prominente di ex alumni.

Si tratta quindi di un intervento diretto da parte di un college all’interno delle trattative NIL delle sue giocatrici e per mezzo di un gruppo di facoltosi benefattori locali (boosters). Il programma ha cercato di “mascherare” questa aperta violazione delle norme grazie all’inclusione nel contratto anche di un brand di bevande proteiche, la Slate Milk. Alle atlete sarà richiesto di fare delle apparizioni pubbliche, attività sui social ed interviste sponsorizzate. Un pacchetto non male che potrebbe attirare anche di più – se mai ce ne fosse stato il bisogno – di prospetti 5 stelle.

Una questione di equilibrio

Questo “accentramento” è esattamente ciò che la NCAA voleva evitare. Il rischio è infatti quello che, in questo modo, i programmi d’élite possano ergersi ben al di sopra delle altre squadre, sbilanciando in maniera irreversibile l’intero campionato. Nessuna lega può sopravvivere se non c’è un equilibrio nella competizione ha spiegato professor Michael LeRoy, professore di legge alla University of Illinois “la prima regola affinché un campionato possa reggere è quella di avere delle regole di non competitività per poter distribuire il talento in maniera equa.

Per evitare l’irreparabile, una soluzione potrebbe essere quella suggerita da Tom McMillen, CEO della LEAD1, società che rappresenta i top-tier college: “L’Athletic Department – che già si occupa delle internships, lavori e tutor accademici – ha un ruolo molto importante nella vita e nella carriera degli studenti-atleti. Al suo interno, si potrebbe creare una divisione specializzata che si occupi del NIL e che possa seguire passo dopo passo l’intera procedura del recruitment“.

Qualche aspetto positivo

C’è però anche una nota positiva in tutto questo marasma: una maggiore continuità nei roster delle squadre con un conseguente miglioramento del livello delle competizioni. Infatti, la possibilità di poter guadagnare come un professionista anche rimanendo al college, ha fatto sì che i migliori giocatori e giocatrici preferissero rimandare il salto alla NBA e WNBA. È Il caso Drew Timme e di Armando Bacot .

drew timme dollar shave club

Drew Timme per Dollar Shave Club

Il lungo di Gonzaga non era una prima scelta nel draft dello scorso anno. Così ha preferito ritirare la sua candidatura e tornare per l’ultimo ballo. Così facendo, può consolidare la sua posizione e fare soldi grazie al NIL. I suoi leggendari baffi gli hanno infatti garantito un accordo con il “Dollar Shave Club”.

Il giocatore di North Carolina invece ha sfruttato al meglio il NIL dopo essersi infortunato alle Final Four dello scorso anno. Non essendo nelle condizioni fisiche per poter prendere parte ai pre-draft workout, Bacot ha messo a segno una serie di contratti che lo hanno convinto a rimanere al college per un altro anno. Il Town Hall Burger di Chapel Hill gli ha dedicato un hamburger e a maggio è arrivata anche la comparsata in una teen-drama per Netflix.

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