“La gente mi dice sempre che, a guardarmi, sembro super arrabbiato: assolutamente no, è solo la mia faccia”: questo il contenuto di un tweet scherzoso scritto da Matt Farrell, playmaker di Notre Dame, lo scorso 18 dicembre. Appena un giorno più tardi, la sua faccia avrebbe fatto il giro della rete, in lungo e in largo e ben oltre il solo ambito dei media sportivi, mostrando un’espressione tutt’altro che “arrabbiata”.
Al termine del match casalingo vinto agevolmente dai Fighting Irish su Colgate per 77-62, i presenti al Purcell Pavilion vengono invitati dallo speaker a prestare attenzione al megaschermo del cubo centrale. Con grande sorpresa di Farrell, appare suo fratello maggiore Bo, ufficiale di stanza in Afghanistan. Con una bandiera a stelle e strisce alle sue spalle, il militare si rivolge al fratello sul parquet per fargli sapere quanto fosse fiero di lui e che si sarebbero rivisti presto, molto presto. Letteralmente. Bo, infatti, appare magicamente nel palazzo pochi secondi dopo: la commozione di Matt è enorme, dato che non vedeva il fratello da sette mesi ed era convinto di dover aspettare almeno metà febbraio prima di poterlo riabbracciare.
Solo un momento del genere poteva sciogliere quella faccia “un po’ così”, per dirla alla Paolo Conte. Una faccia, sì, magari tradita da certi tratti coi quali nasci e basta, su cui non ci puoi fare niente, ma che ben trasmettono il piglio e la durezza con le quali Farrell scende in campo ogni singola volta e che lo rendono, quest’anno, uno dei giocatori più migliorati di tutta la Division I.
Con un piede sulla porta
Le statistiche parlano chiaro: il nativo di Bridgewater è passato dai 13.4 minuti del suo anno da sophomore agli attuali 32.3, da 2.6 a 13.9 punti e da 1.6 a 5.3 assist, il tutto tirando molto di più e con percentuali migliori, sia dal campo che ai liberi. Nel passaggio dalla panchina allo starting five, Farrell sta mostrando una crescita esponenziale che non capita di vedere troppo spesso e che acquista maggior valore se consideriamo che ciò avviene da floor general di uno dei college offensivamente più efficienti di tutta la Ncaa. Un’esplosione, tra l’altro, che avrebbe potuto tranquillamente non avere mai luogo.
La stagione passata era trascorsa interamente all’ombra di Demetrius Jackson, al punto da indurre Matt a considerare seriamente l’opzione transfer: “Ne parlammo a febbraio”, racconta Mike Brey. “Gli dissi: ‘Matty, non siamo ancora a quel punto. Devi continuare a fare quel che stai facendo. Poi vediamo come vanno le cose, quale decisione prenderà Demetrius'”. Ora sappiamo bene com’è andata: Jackson non ha ignorato le sirene NBA e ha lasciato il college con un anno d’anticipo, approdando ai Boston Celtics con una chiamata a metà secondo giro dell’ultimo draft. Dall’utilizzo col contagocce della passata stagione, Brey ha dunque dato le chiavi della squadra a Farrell per quest’anno ma non senza prima spiazzare tutti – membri del suo staff inclusi – decidendo di schierarlo da titolare per la prima volta in carriera lungo tutto il Torneo Ncaa della passata stagione, proprio in coppia con Jackson. Nelle quattro partite disputate da Notre Dame nel torneo, Farrell si è comportato bene (6.5 punti e 1.3 assist in 26.7 minuti di media), facendo intravedere ciò a cui stiamo assistendo ora in maniera sempre più compiuta. La fiducia trasmessa dal coach e la grande libertà a lui concessa hanno sortito effetti immediati, liberando l’estro e le capacità di leadership del tosto ragazzotto del New Jersey: “It’s definitely different. I’m out there running the team. This is my team”.
Jersey toughness
“He doesn’t play for stats; he plays to win. Whatever it takes, he’s going to do it”, queste le parole spese su di lui da parte di Nick Catania, suo ex coach di high school a Point Pleasant Beach, intervistato lo scorso fine novembre a proposito dell’ottimo avvio di stagione di Farrell. Per carità, lo sappiamo bene che sono parole sentite migliaia di volte a proposito di frotte di giocatori diversissimi, ma ci pare giusto riportarle una volta tanto che calzano a pennello sul destinatario.
Madre Natura non l’ha certo dotato di un fisico fuori dall’ordinario (185 centimetri per circa 80 chili) ma, nonostante questo, Farrell sa essere un difensore valido, duro, instancabile e intelligente: a volte, la sua capacità di vedere “oltre” sa tornare molto utile e persino sorprendere.
Il meglio, però, è tutto da gustare in fase offensiva. Il numero 5 di Notre Dame sembra tagliato su misura per questa squadra, fatta di giocatori con QI cestistico di livello, mani educate e che possono incastrarsi in varie combinazioni di quintetti. Che si tratti di servire assist in post-basso o di partire in zingarate verso l’area per poi scaricare il pallone sull’arco, Farrell assolve il compito di regia con ritmi e visione di gioco invidiabili. Un vero metronomo che però va ben oltre lo stereotipo – a dire il vero, datatissimo – di playmakerino ordinato ma senza un particolare spirito d’intraprendenza. Guardarlo in campo è uno spasso: quel corpo così ordinario e che a prima vista pare un po’ tozzo – sarà il collo corto? – è in realtà brulicante d’energia, pronto a scattare da una parte all’altra del campo alla ricerca costante della giocata in transizione come prima opzione, pur essendo capace di cogliere linee di passaggio poco banali anche a difesa schierata.
La sua pericolosità in attacco va anche oltre i compiti di regia. Insieme a Bonzie Colson, V.J. Beachem e Steve Vasturia forma il quartetto di giocatori deputati a essere i terminali offensivi principali dei Fighting Irish. Dotato di un tiro da tre estremamente affidabile (40.3% in stagione con 4.8 tentativi a partita), Farrell sa colpire sia piedi per terra che dal palleggio ed ha buoni istinti nel far saltare l’avversario sulla finta. Dalla lunetta ha percentuali altissime (92.3% fin qui, nessun libero sbagliato nelle prime 11 partite) e per questo dovrebbe trovare il modo di essere ancora più efficace in penetrazione e costringere gli avversari al fallo molto più spesso di quanto non sia accaduto finora – appena 2.6 liberi tentati a partita – anche se proprio nella recentissima vittoria su Louisville la cosa gli è riuscita particolarmente bene (8/9 a cronometro fermo, suo high personale).
Attualmente, Notre Dame è la quarta miglior squadra della Ncaa nel rapporto punti segnati per possesso dietro a UCLA, Creighton e Villanova, tutti team che stanno mantenendo medie estremamente elevate. I Fighting Irish sono assolutamente una squadra che vale la pena seguire per il bel gioco espresso e Farrell ha potenziale e attributi giusti per mantenerla a livelli alti, merito anche della “Jersey toughness” di cui è portatore insieme al già citato Vasturia – ultimamente molto incline a giocate clutch – e al promettente freshman T.J. Gibbs. “It’s more of a will to win and an edge, having a confidence in yourself and not being scared of anybody. Basketball in Jersey is different from everywhere else. It’s an attitude”. Parola di Matt Farrell e musica per le orecchie di coach Brey.