[vc_row][vc_column][vc_column_text css_animation=”appear”]“This is Villanova basketball”: a sentire un’intervista di coach Jay Wright o di qualsiasi giocatore del roster dei Wildcats, ritroverete sempre questa frase ripetuta come un mantra. Ma cosa vuol dire? Villanova Basketball significa tradizione. Prendete il vocabolario e capirete cosa vuol dire: “la trasmissione attraverso il tempo di un patrimonio culturale”. Ecco cosa vuol dire essere un Wildcat: ereditare e trasmettere una cultura non solo di gioco, ma anche di vita. Una cultura fatta di legami umani e di attitude, di quell’atteggiamento che ti porta a competere con ferocia in ogni aspetto del gioco, in ogni singolo possesso. Villanova è la storia che si respira sul parquet e tra gli spalti del The Pavilion a ogni gara quando prima della palla a due risuona il grido “noi giochiamo per quelli che sono venuti prima di noi”.
City of basketball love
[/vc_column_text][vc_single_image image=”2604″ img_size=”full” css_animation=”appear”][vc_column_text]La storia di Villanova parte da Philadelphia e dall’amore che questa città ha per il basket, una passione che si respira dai playground cittadini passando per le prestigiose high school fino ad arrivare alla Palestra. Conosciuta come “The Cathedral of College Basketball”, è qui che si tiene annualmente il Philadelphia Big 5, una competizione tra i cinque programmi collegiali della ‘città dell’amore fraterno’ che vede affrontarsi le Università di Villanova, Pennsylvania, La Salle, Saint Joseph’s e Temple. Ed è a Radnor Township, sobborgo a nord-ovest di Philadelphia, che nel 1842 dei padri agostiniani fondarono l’Università di Villanova, ateneo cattolico privato tra i più antichi degli Stati Uniti conosciuto per essere frequentato dai figli dei milionari dello stato della Pennsylvania. È qui che a partire dal 1920 inizia la storia cestistica dei campioni Ncaa 2016.[/vc_column_text][vc_row_inner content_placement=”middle”][vc_column_inner width=”1/2″][vc_single_image image=”2606″ img_size=”full” css_animation=”left-to-right”][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/2″][vc_column_text]12 febbraio 1949: Paul Arizin, riconosciuto unanimemente come il miglior giocatore della storia di Villanova, mette a referto 85 punti contro Philadelphia Naval Air Material Center. Siamo davanti all’inventore dello jump shot, uno insomma che ha il suo nome scritto in maiuscolo nelle pagine della tradizione di questo gioco. Il simbolo della attitude dei Wildcats è coach Alexander Severance, un uomo che ha predicato basket per venticinque anni sulla panchina di Nova (dal 1936 al 1961). Ma la cultura dell’attitude e della tenacia in campo diventa di interesse nazionale sotto la guida di coach Jack Kraft che allena la squadra a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. Il 1971 è un anno storico: Nova arriva alla finale per il titolo nazionale guidata dagli “Iron men”, soprannome che fu dato al roster di Kraft per la durezza e lo stile di gioco che li portò a un passo dal traguardo finale. Si, perché dall’altra parte c’era la leggendaria UCLA di John Wooden capace di vincere 7 titoli consecutivi tra il 1967 e il 1973.
L’eredità di Massimino
[/vc_column_text][vc_single_image image=”2618″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]1 aprile 1985: se volete capire davvero cosa vuol dire essere un Wildcat, segnatevi questa data. Rollie Massimino è il coach più famoso della storia dell’università ed è sotto la sua guida che si consacra la tradizione di Villanova: squadra tenace e dura in difesa. La March Madness del 1985 è la prima della storia con 68 squadre che partecipano al torneo e i Wildcats si presentano con il seed numero 8. Dal primo turno in poi, per loro è un cammino trionfale fino alla finale da inaspettata underdog, capace di eliminare squadre blasonate come Michigan, Maryland e North Carolina. Torniamo al 1 aprile di quell’anno. I ragazzi di coach Massimino si trovano davanti la super favorita Georgetown guidata da Patrick Ewing. A fine partita il tabellone dice 66-64 per Nova con il 78,6% al tiro e un solo errore dal campo nel secondo tempo. Sembrerebbe un pesce d’aprile vista la data, ma non lo è. Siamo davanti alla più grande prestazione balistica della storia del torneo: the perfect game. E il destino non smette di lasciare il suo segno: dopo la vittoria dei suoi Wildcats, in quello stesso giorno lascia questa terra Alexander Severance.
Wright, la tradizione continua
[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_placement=”middle”][vc_column width=”1/2″][vc_column_text]Piccolo flashback: 1971, davanti alla tv a vedere la finale nazionale, quella degli “Iron Men”, c’è un bambino di nome Jay, nato a Philadelphia e tifoso dei Wildcats, che non riesce a trattenere le lacrime dopo la sirena finale. Sedici anni dopo, in panchina accanto a Massimino siede un giovane assistant coach di nome Jay. Sì, è lo stesso bambino di sedici anni prima, diventato adulto respirando l’aria di basket di Philadelphia e sposato con Heck, una cheerlader dei Wildcats, giusto per chiarire l’importanza nella sua vita dei colori bianco-blu.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”2620″ img_size=”full” alignment=”right”][/vc_column][/vc_row][vc_row content_placement=”middle”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”2622″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_column_text]4 aprile 2016: Kris Jenkins segna allo scadere la tripla che ridà il titolo nazionale a Villanova dopo 31 anni e le telecamere si concentrano sul coach di Nova. Un uomo elegante, vestito con uno dei suoi classici gessati firmati da qualche noto stilista italiano. Impassibile, pronuncia una sola parola, ‘bang’, e poi con la stessa faccia senza emozioni va a stringere la mano a Roy Williams: dalla tv di casa all’NRG Stadium, ecco dove è arrivato Jay Wright. Con lui si consacra la tradizione di Villanova e ora i Phoenix Suns vogliono cercare di portarlo in Arizona per cercare di trasmetterla a una squadra Nba.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
La stagione perfetta
[/vc_column_text][vc_single_image image=”2624″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]Nell’era degli one and done, Wright ha vinto il titolo con una squadra guidata da due senior come Ryan Arcidiacono e Daniel Ochefu costruita con la filosofia di reclutare buoni giocatori da far crescere e sviluppare nei successivi tre-quattro anni. Nova è stata senza dubbio la miglior squadra del Torneo, ma anche durante l’anno è rimasta a lungo al primo posto del ranking di Kenpom e ha raggiunto il numero uno del ranking AP l’8 febbraio per la prima volta nella storia dell’ateneo, prima di conquistare il terzo titolo consecutivo di stagione regolare nella Big East. Una stagione fatta non solo di alti, ma anche di qualche basso come il -23 contro Oklahoma, il 7 dicembre scorso, o la sconfitta a sorpresa in finale nel torneo della Big East contro Seton Hall. Ma è stato proprio in questi momenti delicati che Wright ha saputo ricordare ai suoi ragazzi, dopo ogni allenamento, cosa vuol dire appartenere a Villanova basketball: play hard, giocare insieme con intelligenza e tenacia. Una attitude che ogni Wildcat sul parquet ha saputo dimostrare attraverso un two-point guard system che garantisce una solida difesa (tra le migliori della nazione) e un attacco fluido basato sulla 4-out offense che prevede 4 giocatori perimetrali e un solo lungo. Uno stile di gioco che ha esaltato la fame di vittorie di giocatori come Josh Hart e Kris Jenkins e nel quale si sono inseriti subito giovani come Jalen Brunson e Phil Booth. E che ha portato Nova a tirare al torneo con il 58.2% come mai nessuno aveva fatto prima.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Arcidiacono, il Philly guy
[/vc_column_text][vc_single_image image=”2626″ img_size=”full” alignment=”center”][vc_column_text]Ma Villanova basketball non è solo uno stile di gioco ma anche di vita, ben incarnato da Ryan Arcidiacono: un predestinato, un Philly-guy dalle origini italiane, uno che ha Villanova nel sangue (i genitori Joe e Patti hanno studiato e si sono conosciuti proprio a Radnor Township) e che nel momento più importante della sua stagione e di quella dei suoi compagni ha saputo affidarsi al tiro di Jenkins senza alcun tipo di egoismo. Perché questo vuol dire essere un Wildcat: credere nei tuoi compagni dal primo all’ultimo, all’interno di uno stile di vita fatto di legami umani e fiducia. E “once a Wildcat, always a Wildcat”.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]