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Chauca accusa Cal, il lato oscuro della Ncaa

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 17 Mag, 2018

Brandon Chauca voleva giocare a basket e voleva farlo in un college di alto livello: un sogno che sembrava a portata di mano, ma che è finito per essere spezzato proprio da chi avrebbe potuto offrirgli questa possibilità. Chauca, ora grad transfer in uscita da California e in cerca di una nuova destinazione, si è voluto togliere un po’ di sassolini dalla scarpa, raccontando diversi particolari sulla sua esclusione dalla squadra, avvenuta quasi un anno fa, e puntando il dito verso coach Wyking Jones.

Il titolo del racconto fatto da Chauca riguardo la sua tumultuosa permanenza a Cal è categorico (The Truth), ma il tweet che lo ha diffuso esprime un messaggio diverso: “Ogni storia ha due versioni, questa è la mia”. Nella storia del ragazzo ci sono diversi punti da chiarire e c’è una campana, quella degli accusati, che non ha ancora suonato. Di sicuro, però, c’è abbastanza per rimanere preoccupati per il quadro dipinto dal giocatore.

Troppo basso, poco atletico, fisicamente debole: il ritornello di pregiudizi che hanno accompagnato la point guard è sempre stato lo stesso. A detta di tanti ex compagni, però, Brandon è uno che si dedica cuore e anima alla palla a spicchi. Giocare è la sua ragione di vita e farlo in una high-major era il suo sogno. Chauca è uno che ha sempre dovuto spingersi al massimo dei propri limiti per strappare qualche minuto in campo. “Ho lavorato con pazienza per avere la mia opportunità”, racconta, “con sessioni extra di tiro, sacrificando tempo libero per la palestra, guardando filmati senza sosta per migliorare il mio QI”.

La sorte però non è mai stata dalla sua parte. Tanti infortuni da freshman dopo un esordio promettente. Da sophomore, un qui pro quo clamoroso che, vedendolo arrivare in ritardo alla partita più importante dell’anno, ne pregiudica l’utilizzo per il resto della stagione. Infine, un terzo anno mai davvero cominciato, costretto al redshirt non da uno, ma ben due polsi rotti.

Il 2017 è l’anno dell’avvicendamento sulla panchina di Cal, con l’assistente Wyking Jones che prende il posto di Cuonzo Martin. Brandon passa l’inizio della off-season a mettere in pratica l’ordine datogli dal nuovo head coach, cioè mettersi in gran forma.

Forse è veramente giunta l’ora. Perché dubitarne? Non ha molta esperienza sul parquet ma, in fin dei conti, è pur sempre al quarto anno di college e giocherà per qualcuno che non solo conosce bene, ma che ha anche appoggiato quando Cal doveva cercare il successore di Martin. “Wyking è un grande”, disse all’amministrazione che, a un certo punto, pensava di rincorrere Eric Musselman piuttosto che cercare una soluzione interna.

Forse è veramente l’anno buono. E invece no. Nulla di più lontano da ciò. Jones, un giorno, lo convoca nel suo ufficio, scaricandogli addosso la doccia fredda: “Per il bene del programma, ho deciso di tagliarti dalla squadra”.

Capita che ci sia una scholarship spesa di troppo, che un giocatore non rientri più nei piani tecnici, che sia costretto a trasferirsi altrove. C’è però modo e modo di affrontare la cosa. A Chauca vengono date due possibilità: conservare la borsa ma restare fuori dalla squadra o cercare un’altra università. La seconda opzione è però impraticabile: ormai è giugno, le classi estive sono già iniziate. Non può andare da nessuna parte, né toccare un pallone da basket. Ingabbiato.

Quando riceve la notizia, i suoi genitori sono presenti all’incontro – il padre è attonito, la madre in lacrime – e Brandon deve insistere parecchio per avere uno straccio di spiegazione. Jones lo accontenta parlando di assenza di spazi in campo per lui e di mancanza di rispetto da parte sua, alludendo alle due ragazze invitate alla cena di fine anno della squadra. “Chiunque mi conosca, sa che loro sono sostanzialmente la mia famiglia lontano da casa”, scrive Brandon. Per Jones, invece, si trattava di un atto “estremamente irrispettoso”.

Ci sono centinaia di giocatori che, ogni anno, decidono di cambiare aria. Il loro futuro immediato può nascondere sorprese, mentre il linguaggio che contraddistingue il fiume di notizie sui loro movimenti è molto più prevedibile. Dai comunicati stampa delle università ai tweet dei giornalisti con la spunta blu, dalle liste di college che fanno la fila per Tizio alle dichiarazioni dei vari Caio che ringraziano il Coach e il Signore, non c’è quasi nulla che faccia eccezione al tono complessivo impersonale, asettico e gentile di questa narrazione collettiva.

Al di là del dovere di cronaca o del bisogno di diplomazia, ci sono però mille vicende umane, storie di relazioni fallite. Dietro a una separazione fra parti, può esserci davvero di tutto. La storia dell’ex playmaker di Cal lo dimostra ampiamente: “Mi venne detto che se avessi provato a oppormi, mi avrebbero potuto revocare la borsa, quindi era mio interesse stare buono e assecondare la narrativa della mutua decisione”.

I mesi che seguono la sua cacciata sono una spirale buia di isolamento da tutto e tutti. Gli viene diagnosticata una depressione ma, come racconta lui, non c’è nulla che sia veramente d’aiuto, nemmeno i farmaci che gli vengono prescritti: “Ero disperato, ero solo. Odiavo il basket, odiavo me stesso”. Sono passati undici mesi dal fatto, Brandon adesso è fresco di laurea e potrà giocare da grad transfer altrove (a IUPUI, forse). Il suo racconto, però, tocca anche altri membri della squadra.

Chauca infatti non è l’unico che avrebbe subito trattamenti a dir poco ingrati e che meriterebbero qualche spiegazione ufficiale. C’è Koko Kurdoghlian, cacciato dalla squadra alla vigilia della stagione passata perché il suo 2.9 di GPA non era ritenuto abbastanza buono da un coach che, per contratto, riceve un bonus per ogni suo giocatore che ha una media superiore al 3.0.

Poi ci sono Deschon Winston e Austin Mccullough, altri due tagliati perché ritenuti inadeguati (dalla stessa persona che li aveva reclutati). Chauca qui racconta di una fonte vicina alla squadra che sarebbe stata testimone di una frase proferita da Jones riguardo il fatto che i due giocatori in questione non volessero lasciare la squadra: “Man, I can’t get them to leave! I might pull a Brandon Chauca on they asses!”.

È passata una settimana dalla pubblicazione del racconto di Chauca: Wyking Jones non ha fornito ancora nessuna smentita, mentre l’università ha diramato un comunicato che non fornisce grossi dettagli: “Brandon Chauca was dismissed from the Cal men’s basketball program in June 2017 for a violation of team and university policies. However, he has continued to retain his scholarship and remains on aid through the completion of his Cal degree. We did not initially disclose the reason for Brandon leaving the team in order to protect his privacy. The reasons for the dismissal were clearly communicated to him.”

Si dice che Chauca abbia violato diverse regole e fatto il furbo a un esame, copiando e usufruendo dell’occhio chiuso da un prof a riguardo. Si dice, appunto: voci di corridoio che rimbalzano sui social o su forum di tifosi dei Bears, perlopiù indispettiti dal racconto fatto dal giocatore.

Può darsi benissimo che ci sia del vero in questa voce, così come nel racconto fatto da Chauca. I punti da verificare sono tanti, da entrambe le parti. Coach Jones è però chiaramente messo in discussione dal punto di vista etico e, fin qui, la figura che sembra emergere supera in negativo persino il record di 2-16 nella Pac-12 della passata stagione.

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