Finite Sweet 16 ed Elite 8 è tempo di voti in questa March Madness. Giudizi alti per i giocatori della sorpresa North Carolina, ma anche per l’italiano Paolo Banchero, mentre in basso troviamo Mathurin e Tubelis di Arizona, ma anche tutta Gonzaga.
Caleb Love: Senza i suoi 27 punti nel secondo tempo contro UCLA, North Carolina non sarebbe alle Final Four. Sono le sue due triple in 40 secondi a ribaltare la partita, è il suo rendimento ad aver svoltato la stagione di North Carolina. Se voleva tornare tra i nomi da primo giro al draft, ha scelto il modo migliore per farlo.
Jeremy Roach: è stato per tutta la stagione tipo Calimero in mezzo ai cigni, quello piccolo e sfigato che ha il pallone in mano solo per passarlo a 5 future scelte Nba. E invece ecco un altro che alla March Madness ha cambiato completamente faccia, diventando il giocatore più clutch a disposizione di coach K. Ma davvero, chi l’avrebbe mai detto?
Jermaine Samuels: nel secondo weekend ha giocato anche meglio che nel primo: suoi più di un terzo dei punti di Villanova contro Michigan, suo il canestro decisivo contro Houston. La zampata del senior che al torneo ha migliorato tutte le sue statistiche con la chicca del 5/10 da 3. Non male per uno che non ha raggiunto il 30% in stagione.
Paolo Banchero: hanno steccato tutti i big del draft (vedi sotto), tranne lui. Anzi, la partita contro Texas Tech è stata la più difficile per Duke e la migliore per l’ala italoamericana che ha fatto tutto, ma proprio tutto per bene, dal tiro da 3 alla difesa. Concentrato e presente dall’inizio del Torneo, si è riposato contro Arkansas ma finora alla March Madness non ne ha sbagliata una. E ora lo aspetta una partita epica.
Brady Manek/Armando Bacot: il primo è il miglior realizzatore del torneo a 21.5 di media e vede una vasca al posto del canestro, il secondo è il miglior rimbalzista del torneo a quasi 16 di media e sembra giocare contro i bambini. La rinascita di North Carolina passa anche dalle ottime prestazioni di questi due giocatori.
Saint Peter’s: la partita contro North Carolina non è neanche iniziata, ma quella contro Purdue è stato un altro capolavoro di tattica e cuore. E non è stata una favola, ma solo realtà fatta di tanta difesa e carattere. Coach Shaheen Holloway guadagnava 1/32 di John Calipari, dall’anno prossimo a Seton Hall non sarà più così.
Arkansas: dopo Saint Peter’s la sorpresa del Torneo arriva dai Razorbacks, che hanno eliminato Gonzaga con un upset veramente inaspettato. Seconda Elite Eight consecutiva per Eric Musselman, con una squadra ben più scarsa però rispetto alla scorsa stagione ma Jaylin Williams ha un anno in più: meraviglioso il torneo del sophomore con 4 doppie doppie in 4 partite e una gran difesa su Drew Timme.
Remy Martin: non è mai troppo tardi per giocare da protagonista e, dopo un anno tra infortuni e incomprensioni, ecco finalmente con la maglia di Kansas il leader che si era visto ad Arizona State. Il suo secondo ventello di fila (nonché season high) è fondamentale per battere Providence e ora Bill Self ha un’arma affidabile in più in attacco da giocarsi alle Final Four.
Texas Tech: in tanti avevano pronosticato che la difesa dei Red Raiders avrebbe fermato l’attacco di Duke, ma i ragazzi di Mark Adams si sono fermati a 3’ dal traguardo. Non c’è veramente nulla da dire però sul loro torneo, che è stato la prosecuzione di una stagione comunque inaspettata e molto più vincente del previsto.
Ochai Agbaji: i lampi a partita semi finita contro Miami sono stati i primi cenni di risveglio di uno dei giocatori più attesi della March Madness che, al momento, però si è notato solo perchè non si è fatto notare. Più che anonimo contro Providence, miglior realizzatore contro gli Hurricanes, nella prossima contro Villanova servirà la seconda versione.
JD Notae: leader unico e solo di Arkansas per tutta la stagione, ha sparacchiato senza pietà con 14/43 in due partite come spesso gli è capitato. I suoi compagni hanno messo una pezza al casino che ha prodotto contro Gonzaga, quando comunque ne ha messi 21, mentre contro Duke li ha proprio lasciati soli senza combinare nulla di buono.
Johnny Juzang: adesso arriva, adesso esplode, adesso si mette a giocare e per gli avversari si fa dura. “Eh tu non l’hai ammirato al Torneo l’anno scorso, vedrai“. Però poi niente, alla fine Juzang non è arrivato e ha invece giocato tre partite anonime. La prima contava poco contro Akron, nella seconda contro Saint Mary’s i suoi compagni han giocato tutti bene. Poi però contro North Carolina sarebbe servito il vero Juzang, ma 14 punti con 3/9 e 2/4 non sono bastati: partita da compitino non da stella. E UCLA fuori dal Torneo.
Ben Mathurin: Ricordandoci che non è un voto alla stagione ma a quanto fatto vedere alle Sweet 16, ecco allora che l’insufficienza piena si spiega eccome. Da eroe nella gara precedente a sparacchiatore nella sfida contro Houston. Al di là dell’imprecisione al tiro (4/14 complessivo), che capita, la sensazione è che la stella di Arizona non abbia interpretato al meglio la gara, finendo per volerci rientrare di forza nel momento sbagliato senza successo.
Caleb Houstan: come stare in campo 28 minuti e far sì che a fine partita uno si chieda “ah ma era in campo Houstan?“. Peccato, perché Michigan avrebbe avuto un gran bisogno del suo freshman, accreditato peraltro di potenziale Nba. Un potenziale che se c’è, viene tenuto ben nascosto. Alla fine 5 punti (1/5 da 3), 2 rimbalzi e 2 falli. La sensazione è che non sia pronto per il professionismo, meglio un altro anno di Ncaa.
Jaden Ivey: C’è chi come Houstan sparisce dalla partita, ecco Ivey no. Gli si deve dare atto che lui è sempre appariscente. Ma se in stagione in molti casi lo è stato in positivo per la sua Purdue, nella gara contro Saint Peter’s la stella dei Boilermakers ha messo in mostra il peggio del suo repertorio. Una luminosa partita di nefandezze, senza mai azzeccare una scelta o un tiro e con 6 palle perse una peggiore dell’altra. Un film dell’orrore.
Gonzaga: Giocare sempre da favoriti non è facile, ma è una condizione alla quale gli Zags ormai sono abituati da anni. Che Gonzaga quest’anno non fosse forte come quella delle passate stagioni era apparso evidente. Già battere Memphis al secondo turno è stata una faticaccia. La squadra però è stata eliminata da un’Arkansas tutt’altro che irresistibile. L’unico a non mollare è stato Drew Timme. Il resto buio pesto, dalle guardie a Chet Holmgren.
La sfiga di Justin Moore: Villanova è apparsa tra le squadre più in forma di questo Torneo. Quadrata, chirurgica in difesa, spietata in attacco. Merito anche di Justin Moore sui due lati del campo. Il giocatore però si è rotto il tendine d’Achille nel minuto finale della gara (vinta) contro Houston. E ora salterà la Final Four. Una perdita enorme per i Wildcats, ma soprattutto una sfortuna immensa per un grande giocatore.
Azuolas Tubelis: qualcuno l’aveva definito l’arma segreta di Arizona, altri l’uomo in più. Ecco contro Houston è stato l’uomo in meno. Il lituano ha sofferto oltremodo la fisicità dei Cougars (che per carità, è nota per essere squadra fisica ma c’è un limite). Alla fine 0/8 al tiro con anche 4 palle perse. Una partita da dimenticare nel peggior momento della stagione.