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La stagione dorata di Minnesota

Ncaa basketball - Minnesota Golden Gophers
Autore: Manuel Follis
Data: 12 Gen, 2017

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“I don’t want to be ranked” (“Non voglio stare nel ranking”) aveva detto pochi giorni fa Richard Pitino parlando dei suoi Minnesota Golden Gophers. Il coach, figlio d’arte, uno che probabilmente nella sua vita ha sentito la parola “allenamento” prima di “mamma” l’aveva previsto e aveva ragione perché, appena entrata nel ranking (alla n. 24), la sua squadra è stata asfaltata in casa di Michigan State 65-47, tenuta al minimo stagionale di punti segnati.

Messa così sembra grave e invece non lo è, perché riavvolgendo il nastro e tornando indietro di soli due mesi, è evidente che la stagione di Minnesota potrebbe quasi considerarsi già positiva anche se si interrompesse adesso. Sembra un paradosso ma l’aria che tirava intorno alla squadra all’inizio di novembre portava più a pensare a un esonero dell’allenatore che al rientro nel ranking dopo 3 stagioni deludenti.

Riavvolgiamolo dunque questo nastro e torniamo alla stagione 2012-2013, quando il coach è Tubby Smith e in squadra ci sono Andre e Austin Hollins e in area Trevor Mbakwe. Quella è l’ultima squadra che entra nel ranking e arriva addirittura alla numero 8 in classifica, prima di disputare una Big Ten deludente (chiusa 8-10), di uscire al primo turno del torneo della B1G (contro una non irresistibile Illinois) e al secondo turno del Torneo Ncaa.

Ncaa basketball - Austin e Andre Hollins

Austin e Andre Hollins

Risultati giudicati insoddisfacenti dall’università, il cui staff era convinto che con il talento a disposizione si dovesse fare di più. Da qui la scelta di mandare via un coach blasonato come Smith (prima sorpresa) e di chiamare al suo posto un super esordiente come Richard Pitino (seconda sorpresa). Ok, Pitino era il figlio dell’hall of famer Rick (attualmente sulla panchina di Louisville), ma a quel tempo aveva 30 anni e poteva vantare solo una stagione alla guida di Florida International. E chiariamo, non un anno strepitoso, ma assolutamente normale, chiuso con la finale del torneo della Sun Belt, in cui FIU eliminò la favorita (Middle Tennessee) ma venne poi battuta da Western Kentucky. Un classico “bene ma non benissimo”.

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Riassumendo, la carriera di Pitino Jr a Minnesota è iniziata con le premesse peggiori: inesperienza del coach abbinata alle aspettative elevatissime dell’ambiente. C’era di che soffrire, e infatti l’inizio è stato un disastro. In realtà, il primo anno è stato tutto sommato accettabile, ma il giovane allenatore poteva ancora contare sulla presenza nel roster dei due Hollins. La squadra non è entrata nel ranking, ma ci ha flirtato per tutta la stagione, chiusa con un record di 25-13 e con la vittoria del NIT. Dopodiché sì, il disastro è arrivato.

Facciamola breve. La stagione successiva record 18-15 e quella dopo ancora (la scorsa) 8-23. Ecco, se inizi ad allenare dove hanno grandi aspettative e il tuo record di vittorie in tre anni ha questa progressione, 25-18-8, ci sono le premesse perché l’avventura finisca presto. E senza nascondersi dietro un dito era quello che molti in Minnesota pensavano sarebbe successo, un nuovo record anonimo e “bye bye coach”. Invece quella che sta venendo fuori è la miglior stagione dei Golden Gophers, che da 20 anni non segnavano così tanto (77,4 punti a partita) pur rimanendo una squadra a trazione “difensiva”, come si addice agli allenatori della “scuola Pitino”.

Che è successo? Partiamo col dire che se Pitino Jr si è sentito sotto pressione, non l’ha dato a vedere. Sorridente e tranquillo in ogni conferenza stampa, ha sempre rassicurato tutti sui risultati futuri. Che in effetti sono arrivati. Certo, c’è chi ironizza sul fatto che al giovane coach basta alzare il telefono per accedere all’esperienza senza filtri del padre che ne ha viste di tutti i colori e ha affrontato ogni genere di pressione (comprese quelle Nba a NY e Boston). Ma anche fosse, meglio così per i Gophers.

 

La sostanza, prima di vedere cosa fanno in campo i Gophers, è che Pitino ha fatto due scelte sostanziali. Per prima cosa ha iniziato a seguire i suoi giocatori anche fuori dal campo e a stagione finita, stando loro vicino e organizzando incontri periodici per creare un buon clima di squadra. E così uno dei problemi cronici di Minnesota, ovvero la presenza a roster di “teste calde” (che sono una caratteristica dei reclutamenti di Smith) è stato disinnescato. Dopodiché ha iniziato a scegliere finalmente i giocatori che voleva lui, fra recruiting e transfer.

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La morale è che la squadra di quest’anno è effettivamente la prima completamente attribuibile a Pitino, e si vede. Il freshman Amir Coffey ha iniziato a mettersi subito in mostra come un grande talento offensivo (non ancora preciso, ma i suoi quasi 13 punti a partita fanno comodo), ma anche il primo anno Eric Curry sotto canestro si sta facendo valere, soprattutto a rimbalzo difensivo. I transfer Akeem Springs (da Milwaukee) e il capellone Reggie Lynch (da Illinois State) stanno portando il primo assist e triple e il secondo l’intimidazione sotto canestro per cui è sempre andato famoso.

 

Ed ecco servita la “nuova” Minnesota. Squadra tra le più giovani dell’intero college (nemmeno un senior in quintetto), che ha alzato la stazza media della squadra per chili e centimetri (a coach Smith sono sempre piaciuti i nani-razzenti mentre ai Pitino gli atleti fisici e versatili), che divide le responsabilità offensive quasi equamente (6 giocatori compresi tra 9 e 14 punti di media) e che soprattutto aveva fame di vittorie e cercava riscatto. “I like being the underdog. If you can find a way to play the disrespect card, you’re going to use it as best you can. I like not being ranked. I don’t want to be ranked. Keep us out of it. I want to win every game, but I like that part of it“. Ecco perché far parte delle migliori 25 fa così tanta paura al giovane allenatore. Perché teme che i suoi ragazzi si rilassino e allentino la presa.

Fin qui non abbiamo parlato dei singoli, e non perché nessuno sia meritevole di un approfondimento, ma perché Richard, come suo padre, predilige un gioco corale, con poche stelle e responsabilità condivise in attacco e in difesa. Ecco, a proposito della difesa, grazie a un roster finalmente atletico al punto giusto Minnesota per la prima volta gioca quasi 40 minuti di uomo, senza zone o match-up che invece contraddistinguevano l’era Pitino fin dal suo arrivo. Certo, poi scattano raddoppi improvvisi (come quelli che hanno permesso di contenere i lunghi Swanigan e Haas nel match vinto in casa di Purdue), ma per lo più la squadra difende a uomo, e lo fa con risultati eccellenti, visto che al momento è 11/ma nel ranking difensivo di Kenpom.

 

Veniamo infine ai singoli. Il miglior marcatore attualmente è il playmaker junior Nate Mason che segna 14,4 punti e distribuisce 5,7 assist a partita. Non altissimo (poco sopra 1,85), è robusto e veloce, non perde palle stupide ed è il miglior tiratore da 3 della squadra. Dietro di lui tra i realizzatori c’è la truppa dei nuovi reclutamenti di Pitino Junior, ovvero un freshman (Coffey) e due sophomore dal grande potenziale come Jordan Murphy e Dupree McBrayer.

 

Sotto canestro, c’è Reggie Lynch che da 3 anni è il numero uno per Block% nella Ncaa, cioè fin dal suo anno da freshman grazie all’altezza (e 208 centimetri abbondanti) ma soprattutto a un tempismo d’intervento eccellente. Oltre a lui c’è solo Bakary Konate come lungo di ruolo, perché a Minnesota vige l’eclettismo, tale per cui Murphy (che non arriva ai 2 metri) spesso gioca da 4 ed è il miglior rimbalzista della squadra (8,5) mentre Curry (che è 205 cm) si permette anche passaggi fuori dall’area ed è stato l’autore della tripla che ha sostanzialmente chiuso la gara in OT contro Purdue, la vittoria più importante (finora) nella stagione dei Gophers.

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