Non era sicuro neanche lui, ma alla fine Greg Brown ha fatto la scelta più ovvia: suo padre, sua madre e persino suo zio sono stati studenti/giocatori dei Longhorns e, per un ragazzo nato e cresciuto a Austin, andare a UT, cioè University of Texas, poteva essere scontato. Così non è stato, perché Kentucky, Auburn, Michigan e Memphis hanno bussato forte alla sua porta, così come la G-League con un bel assegno di 300mila dollari garantiti. Ma, proprio all’ultimo, ha deciso di rimanere a casa: “It’s just the legacy and the loyalty”. E ora Shaka Smart può davvero puntare in alto.
Una point forward dalle mani dolci
Ala di 2.06, veloce, atletico e con grande potenziale di crescita: nel suo inizio di carriera universitaria ha già fatto vedere che razza di giocatore è e quali sono i difetti su cui si può lavorare. D’altronde il passaggio dal one-man show dell’high school al ben più complesso sistema universitario richiede tempo per (quasi) tutti. Greg Brown, unico volto nuovo in una squadra stracolma di returning players, è chiaramente arrivato in un mondo diverso, dove altri (leggi Matt Coleman e Courtney Ramey) gestiscono la palla e quindi tirare tutto quello che gli passa tra le mani può solo spalancargli la strada verso la panchina. “I’ve got other good players on my team and I’ve got to use them”, le sue sagge parole dopo la vittoria contro Texas State.
Facile quella, molto meno le partite affrontate in precedenza al Maui e nel Big East/Big 12 Challenge, dove è arrivata l’unica sconfitta subita finora dai Longhorns. Ecco, proprio le sfide contro le due big affrontate, cioè North Carolina e Villanova, hanno detto che Greg Brown è un potenziale spettacolo ancora in costruzione, una point forward molto più che uno stretch four, un esterno che parte lontano dal ferro e che ha mani molto dolci.
Anche in una squadra piena di centimetri come Texas, parte da 4 e i lunghi avversari non hanno chance di prenderlo quando mette palla a terra…
…o quando corre veloce in campo aperto, una delle cose che più ama fare.
“His potential is almost limitless”
“What impact do I need to make on this team?”, ha scritto Greg Brown a coach Smart subito dopo essersi messo il cappellino dei Longhorns in testa. Ed è proprio quello su cui Smart sta lavorando, cioè come inserire nel suo sistema un giocatore chiaramente di talento superiore: “The exciting thing for him is his potential is almost limitless”, l’opinione dell’allenatore che, per ora, lo usa solo per 20 minuti a partita, cercando di correggere tutti gli errori che ancora commette in campo. A partire dalle scelte, soprattutto nel tiro da tre, visto che il 48.4% delle sue conclusioni arriva da oltre l’arco. Ma delle 15 triple tentate nelle prime 4 partite, questa qui sotto è l’unica andata a segno.
Un po’ meglio è andata nelle 3 gare successive (6/16), ma è comunque fermo a un 22.6% da tre ovviamente migliorabile. Anche perché non ci sono dubbi che sappia segnare dall’arco, anche in situazioni difficili.
Invece funziona, eccome, la partenza in palleggio, quasi sempre verso sinistra, come visto nel video sopra contro UNC e come si può vedere in questa azione contro Texas State.
Ball handling, rapidità nei movimenti e controllo del corpo sono da guardia, e la capacità di concludere al ferro proprio non si discute.
La difesa questa sconosciuta
Ecco, in difesa siamo a livello high school, una roba del tipo cerco di capirci qualcosa ma sono ancora lontano dal riuscirci. Non improvvisazione, perché comunque cerca di seguire il suo uomo coordinandosi con i suoi compagni, ma sugli esterni ha busto troppo rigido e gambe poco piegate, mentre contro i lunghi paga tutta la fisicità che non ha. Non ci vuole molto a un giocatore scafato come Jeremiah Robinson-Earl per levarselo di dosso.
E se, come abbiamo visto sopra, in attacco può battere un freshman come Day’Ron Sharpe in palleggio, in difesa semplicemente non ha chance di tenerlo.
E ogni tanto viene fuori tutto il pollo che c’è in un ragazzo di 19 anni.
Le braccia però sono lunghe: 210 cm di wingspan si sentono in un’area dove gli avversari spesso vengono maltrattati. E nonostante sia a oggi un difensore mediocre, la stoppata è spesso la sua salvezza.
Texas sempre più in alto
Shaka Smart per ora si accontenta eccome, anche perché la sua Texas continua a salire nel ranking ed è ora alla #11. Sin dai tempi di VCU e dalla sua famosa Havoc Defense, una press tutto campo, peraltro è sempre stato considerato un esperto di difesa molto più che dell’attacco e le sue squadre, anche a Austin, lo hanno confermato. L’anno scorso Texas ha chiuso al 154/o posto per Adjusted Offense: con 64 punti segnati di media, o ti chiami Virginia o non vai lontanissimo. Quest’anno è salita a 74 punti a partita, con cinque giocatori dalle parti della doppia cifra, Brown compreso (10.9) che di fatto ha steccato solo il match contro Indiana.
Vediamo come andrà questa volta dato che il coach di Texas ha avuti altri one-and-done nonché potenziali lottery pick tra le mani, e finora non è che sia andata benissimo. Nei suoi cinque anni sulla panchina dei Longhorns, ha allenato lunghi del calibro di Mo Bamba, Jaxson Hayes e Jarrett Allen con i quali ha raggiunto però una sola volta il Torneo. E di titoli di qualsiasi tipo, a Austin neanche l’ombra.
D’altronde anche con un certo Kevin Durant, la Texas guidata allora da Rick Barnes non andò oltre il secondo turno, ma stavolta la storia può essere diversa. Greg Brown è finito infatti in una squadra solida ed esperta, con tutti i ruoli coperti, ed è un giocatore ben diverso dalle star allenate in passato da Shaka Smart: è infatti lo scorer che può e deve dare un’altra dimensione alla squadra. E magari anche una strada più lunga alla March Madness.