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Essere Bronny James

Autore: Stefano Fontana
Data: 16 Feb, 2024

Si parlava ossessivamente di lui fin da bambino, poi la sua carriera è sembrata interrompersi in maniera drammatica. Dopo i primi due mesi in campo in NCAA, invece, LeBron James Jr. è ancora un oggetto un po’ misterioso. Tra le ottime qualità da role player e quelle offuscate da leader tecnico, al momento le domande sembrano più delle risposte. E sullo sfondo rimane sempre pesante l’ombra di un padre da leggenda.

Il figlio d’arte per eccellenza

Nessun figlio d’arte nel mondo dello sport professionistico, probabilmente, ha mai percepito sulle spalle il peso che Bronny porta a spasso ogni volta che scende in campo. Fin dalla culla, il classe 2004 è stato, per tutti, il figlio del Prescelto. Mentre lui cresceva, LeBron Sr. non faceva altro che infrangere record, dominando l’NBA e il mondo degli sponsor e rivoluzionando ogni aspetto del gioco.

Quando, nel 2015, il suo nome iniziava già a circolare nei circuiti AAU (a soli 11 anni!), il titolo di un articolo della rivista Complex suscitò tanto l’ilarità da diventare un meme che circola ancora oggi su X (il fu twitter). Citando una dichiarazione di suo padre, l’articolo si apriva con la frase “LeBron James Jr. non indosserà il numero del padre, non vuole che le persone sappiano chi è”.

Lebron James

Chiaramente, non esiste niente di più lontano dal mondo del possibile: ovunque, da sempre, Bronny ha avuto la sua ingombrante carta d’identità a precederlo. Col passare degli anni, la domanda è diventata sempre più insistente: basteranno il DNA e gli insegnamenti di quello che è forse il miglior giocatore della storia del basket a far crescere un altro fenomeno generazionale?

Per un breve periodo di tempo, abbiamo rischiato di non poter mai sapere la risposta.

Lo spavento

È il 24 luglio 2023, e da un paio di mesi James ha annunciato di aver scelto di giocare per USC in mezzo ad una foltissima – e prevedibile – concorrenza di università interessate a lui.

Durante uno dei primi allenamenti, collassa in campo al Galen Center. La diagnosi è impietosa: arresto cardiaco dovuto ad un difetto congenito al cuore. Come per una beffa, quello stesso patrimonio genetico che gli ha messo addosso i fari degli scout di mezzo mondo fin da bambino adesso stava rischiando di interrompergli la carriera.

Dimesso dall’ospedale dopo tre giorni, Bronny ha però mostrato graduali miglioramenti, fino ad ottenere il via libera per riprendere la strada dell’agonismo.

Bronny ha disputato per USC 17 partite, trovando gradualmente più spazio anche per le raccomandazioni dello staff medico. 20.9 minuti di media in campo, che gli hanno fruttato 5.9 punti, 3.0 rimbalzi e 2.6 assist. Guardandola così, la sua statline non sembra quella di un prospetto da ricordare. Effettivamente, anche una volta entrato con più continuità nelle rotazioni le sue prestazioni non sono sembrate quelle di una stella assoluta, ma sotto la superficie ci sono comunque delle cose interessanti.

Difesa e lavoro per la squadra

Prima di tutto, LeBron Jr. è un difensore eccellente. Si muove molto bene e riesce a rimanere sempre col suo uomo disturbandone spesso sia il palleggio che le possibili linee di passaggio. Ha esplosività verticale e laterale, comunica bene coi compagni per gestire pick and roll e rotazioni, e anche in aiuto difensivo sa fare la differenza.

In attacco, si fa forza di un fisico particolarmente atletico e potente, unito ad un’intelligenza cestistica sopra la media. Sa sfruttare benissimo il suo primo passo fulmineo, battendo sul tempo con continuità il diretto marcatore e aprendosi la strada verso il ferro. Nonostante sembri ancora un po’ timido nelle penetrazioni in cui deve chiudere al ferro corpo-a-corpo, soprattutto contro avversari più pesanti, la sua capacità di arrestarsi in un fazzoletto per il jumper dalla media gli permette di nascondere abbastanza bene questa debolezza.

Il playmaking non è ancora così buono da renderlo centrale nella costruzione della manovra di USC, ma gli sprazzi di dialogo coi compagni sembrano assolutamente di livello: il suo QI sul parquet è superiore alla media, e questo gli permette di vedere spesso linee di passaggio non banali, o di riuscire a smarcarsi eludendo la difesa lontano dalla palla senza necessità di impiegare troppe energie. Sa giocare il pick and roll in maniera brillante sia come bloccante che come portatore di palla.

 

I dubbi e le prospettive future

In generale, però, il grosso neo al momento sembrano le sue capacità di realizzatore: Bronny tira poco (5.5 conclusioni a partita di media) e male (36% dal campo). Il movimento è fluido e ricorda vagamente quello di papà LeBron, ma la sensazione è che anche la sua convinzione di poter incidere stia risentendo della brutta stagione di USC: la squadra ha strappato una vittoria a sorpresa con Utah nell’ultima gara disputata ma è sempre ancorata ai bassifondi della Pac-12 con record 4-10.

Insomma, al momento LeBron James Jr. è un ottimo facilitatore di gioco, un difensore intenso e uno di quei giocatori che sembrano poter far giocare meglio i compagni. Per diventare una stella, però, sembrano mancargli un po’ di ferocia e di killer instinct, oltre a delle percentuali migliori.

Probabilmente, senza quel nome e quel cognome le valutazioni sul suo conto sarebbero molto diverse. In un momento in cui le sue quotazioni sono molto in ribasso, però, chissà che non sia proprio la sua discendenza a concedergli un’occasione in NBA: con LeBron Sr. alla finestra, voglioso di chiudere la carriera giocando con suo figlio, l’operazione di marketing potrebbe convincere qualche squadra a spendere una scelta al secondo giro. Chissà che l’affare non si riveli tale anche oltre i cartelloni pubblicitari.

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