Dopo aver sbaragliato Cal con un +35, Duke si è imposta su Georgetown (81-73) nella finale (godibilissima) del Empire Classic. Bella l’atmosfera al Madison Square Garden, molto lontana dal freddolino che spesso caratterizza le sfide di non-conference su campo neutro. I quasi 14mila presenti erano sostanzialmente divisi a metà fra Blue Devils e Hoyas (coi primi in leggera maggioranza) e si è mostrato abbastanza vispo, specie quando punzecchiato dalle non poche chiamate arbitrali dubbie.
Dopo questa sfida, Duke conferma il suo status di #1 mentre Georgetown, forte della vittoria convincente contro la #22 Texas (82-66), potrà forse fare capolino nella prossima Top 25 e, cosa più importante, fa presagire quanto difficile ed equilibrata sarà la Big East di quest’anno.
Sulle spalle di Vernon Carey
Fra un Cassius Stanley d’impatto immenso nella ripresa (21 punti e 8 rimbalzi in 27 minuti) con indosso le vesti insolite di cecchino (3/3 da tre) e un Wendell Moore capace di gran giocate (17 punti, 6 rimbalzi, 3 assist ma anche 7 perse), scegliamo Vernon Carey come uomo-partita di Duke. Per la doppia-doppia da 20 punti e 10 rimbalzi? Sì, ma soprattutto perché lui è stata l’unica cosa a funzionare nel cuore del primo tempo, quando la truppa di Krzyzewski non stava capendo più nulla, in nessuna delle due metà campo (GTown aveva toccato il +11 a 6:11 dall’intervallo). Insomma, palla a lui sotto e speriamo vada bene. Ed è andata bene, perché quei 120 chili che si porta a spasso fanno l’effetto di una palla da demolizione nell’area avversaria, visto il modo in cui riesce ad attaccare gli spazi e a coordinarsi. I Blue Devils hanno trovato la loro ancora di salvezza.
Hurt, la nota dolente
Cinque minuti in campo, 0/4 al tiro, -13 di plus/minus. Non è la statline di un panchinaro preso a caso ma quella di Matthew Hurt, partito in quintetto e sparito dalla gara in un amen, tant’è che Coach K non ha nemmeno pensato di ributtarlo nella mischia dopo l’intervallo. Gli è stato preferito Jack White (33 minuti), meno talentuoso ma infinitamente più esperto. Hurt è apparso smarrito e, se vorrà risollevarsi, dovrà imparare qualcosa proprio dal suo compagno, se non in termini di difesa e di lavoro sporco, almeno in quelli di durezza mentale.
Jones-Akinjo, un bel duello
La sfida fra point guard ha fornito spunti interessanti ed è stata particolarmente frizzante nel primo tempo, quando Tre Jones difendeva come suo solito (cioè come un assatanato) mentre James Akinjo, semplicemente, attaccava meglio. Il 3 degli Hoyas (19 punti, 6 assist, 4 recuperi) è stato autore di alcuni canestri da stropicciarsi gli occhi, mostrando una bravura rara nel gestire quel genere di attenzioni difensive, fra esitazioni, cambi di ritmo, ottimo uso dei blocchi e capacità di concludere nel traffico più stretto.
Jones, dall’altra parte, ha faticato a lungo per poi dare il meglio di sé dalla fine del primo tempo in poi (13 punti, 7 assist, 2 recuperi, 2 stoppate), segnalandosi per una buona intesa con Carey e ottime soluzioni in penetra-e-scarica. Il 6-0 del primo minuto della ripresa porta tutto la sua firma: senza quell’avvio così perentorio, chissà come sarebbe andata a finire la partita.
Yurtseven brilla, nonostante tutto
Georgetown ha disputato un grande primo tempo (chiuso sul 33 pari) disputato in gran parte senza Ömer Yurtseven e Mac McClung, entrambi con problemi di falli. Pat Ewing – tra l’altro inviperito con gli arbitri – ha visto che la sua squadra può cavarsela senza quelle due colonne, ma di certo la vita è molto più facile quando sono a disposizione.
McClung non è mai riuscito a rientrare in partita (6 punti in 13 minuti con 2/7 al tiro) mentre il turco ha dato vita a un clinic offensivo nella ripresa, mostrando la bontà eccelsa del suo repertorio in area. Per lui, 21 punti in 24 minuti con in mezzo un bel 9/12 da due. Carey ha fatto fatica a tenerlo mentre DeLaurier ha potuto giusto provarci (senza riuscirvi minimamente). E pensare che i grigi stavano per estrometterlo dalla partita a metà ripresa, quando gli avevano fischiato un (assurdo) quinto fallo a 8:44 dalla fine, salvo ritornare sulla propria decisione.