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La nuova chance di Chris Beard e il valzer delle panchine

Chris Beard - Ole Miss
Autore: Paolo Mutarelli
Data: 11 Lug, 2023

C’è chi ha scelto, chi è stato costretto. C’è chi era in cerca di un’oasi in cui rilanciare la carriera, chi si è buttato sull’occasione della vita, che sia l’ultima o la più importante. Ben 57 panchine sono cambiate in questa offseason di college basketball. Da Chris Beard a Kim English, ecco i colpi migliori.

Back to the past

St. John’s e Georgetown hanno deciso di dare uno strappo alla tristezza e provare a far innamorare le rispettive fan base spente. I matrimoni, sulla carta, sembrano perfetti. Rick Pitino è nato e cresciuto per allenare un college dell’area di New York e ha approcciato a questa nuova sfida con l’energia di un esordiente costruendo un roster variegato, futuribile ma già pericoloso in poco meno di un mese, con un obiettivo chiaro e semplice in testa: quattro vittorie di fila alla March Madness e aggiungere un’altra Final Four al suo palmares.

Georgetown, imbarazzata dal tragico esperimento Ewing, ha giocato sul sicuro: Ed Cooley, un figlio di Providence che ha tradito l’università di casa che ha reso grande (sette viaggi al Torneo, una Sweet 16 e due titoli di conference in dodici anni). Due volti che conoscono la Big East come le proprie tasche e che garantiscono continuità e solidità per college che devono innanzitutto rimettersi in piedi.

Ed Cooley è cresciuto col mito di John Thompson, storico coach di GTown e primo coach afro-americano a vincere il titolo NCAA

A rimettersi in piedi ci deve pensare anche Chris Beard dopo la controversia legale che gli è costato il posto a Texas. Riparte da Ole Miss in quella che sarà, se tutto andrà per il verso giusto, una tappa di passaggio per un coach che ha scalato in maniera fulminante le gerarchie del college basketball per poi cadere. Una win-win situation: un programma ai minimi termini nella SEC che “blinda” fino al 2026 un coach di assoluto talento in cerca di riabilitazione. I transfer li ha portati a casa: aspettatevi una difesa impenetrabile il prossimo anno, ma Beard qui si gioca la carriera.

Coaching tree prosperosi

Jerome Tang ha fatto vedere proprio a tutti che la “Culture of Joy” di coach Scott Drew è esportabile. Paul Mills e Grant McCasland, altri due allievi dell’HC di Baylor, l’avevano già dimostrato nel 2021 quando Oral Roberts e North Texas avevano fatto faville alla March Madness, ma ora salgono di livello. Il primo andrà in AAC, a Wichita State in cerca di un nuovo volto dopo l’addio di Gregg Marshall e gli anni di anonimato. Il secondo, dopo la vittoria al NIT nella scorsa stagione, a riproporre lo stesso modello in una Texas Tech che dopo aver sfiorato il titolo nel 2019 non è più riuscita a riconfermarsi.

L’uomo che ci ha regalato Max Abmas

Da testare invece l’esportabilità del metodo Nate Oats. Tre addii, alcuni assistenti storici, altri coach che aveva trovato ad Alabama: Charlie Henry, con lui dai tempi di Romulus High School, allenerà Georgia Southern mentre Bryan Hogdson lo sfiderà nella stessa conference, la Sun Belt, dalla panchina di Arkansas State. Due allenatori giovani che implementeranno lo stile run&gun in due programmi dalla scarsa tradizione. Il terzo partente è Antoine Pettaway che, dopo una vita passata a Tuscaloosa tra campo e panchina, sostituire Amir Abdur Rahim, autore di un ottimo lavoro a Kennesaw State, che infatti gli è valso il passaggio di livello a South Florida.

Jim Boeheim e Carmelo Anthony vanno insieme in pensione. Che romantico. Adrian Autry non avrà vinto con loro il titolo a Syracuse nel 2003, ma proverà a rilanciare un programma che è sembrato negli ultimi anni intrappolato in una gestione fin troppo old school. Ex orangemen degli anni ’90, assistente di Boeheim da una decina d’anni e autore di un off-season brillante, Autry ha creato un roster, capeggiato dal duo Starling-Mintz, che ha come chiaro obiettivo il biglietto alla March Madness.

Domino, salti di qualità e scommesse

L’addio di Mike Brey a Notre Dame ha scatenato poi un domino non banale che ha dato la chance a ben quattro coach di salire di livello. Due anni a Penn State ci hanno garantito che Micah Shrewsberry è un coach creativo, capace di valorizzare talenti, anche peculiari, ma soprattutto in grado di sopravvivere in una sanguinosa Big Ten nonostante i mezzi di un programma che non predilige il basket. Ora torna in Indiana (dove ha passato una vita a fare l’assistente tra Butler e Purdue) per rendere moderna e competitiva Notre Dame. Al suo posto in Pennsylvania è arrivato Mike Rhoades: figlio della mentalità difensiva da guerra di Shaka Smart impiantata a VCU e portata avanti con successo negli ultimi tre anni dove è stato in Top 15 per AdjDef. Nove colpi dal portal, tra cui due anche da North Carolina.

Da potenziale eroe nella finale contro Kansas al trasferimento ai Nittany Lions: la parabola di Puff Johnson

Il domino poi ha portato in Virginia Ryan Odom, architetto prima di una storica UMBC e poi di una buonissima versione di Utah State (16° AdjOff e 8° per eFG% lo scorso anno). L’esodo è stato notevole (molti li vedremo in Power Conference) ma si è portato con sé l’ucraino Max Shulga, maestro del pick and roll, e il lungo Sean Bairstow oltre ad aggiungere un potenziale scorer come Joe Bamisile da Oklahoma. In Utah invece si è scelto Danny Sprinkle, reduce da un doppio viaggio al torneo con Montana State.

Al posto di Rick Pitino a Iona è arrivato Tobin Anderson, anima e cuore del miracolo Fairleigh Dickinson di questo marzo. Il villain Will Wade riparte da un posto sperduto, McNeese in Louisiana, per rilanciarsi mentre Georgia Tech si affida a Damon Stoudamire, terribile nella sua esperienza a Pacific qualche anno fa ma dall’ottimo pedigree Nba. Mark Madsen sembra già aver fatto un miracolo a California: reclutare una squadra con potenziale in un programma reduce da sei stagioni con record negativo. Dopo l’ottimo lavoro a Utah Valley, occhio ai Golden Bears in Pac-12. E chiudiamo con Providence, un programma che si basa sull’azzardo nello scegliere il coach giusto: in questi anni Kim English è sembrato costruire qualcosa a George Mason. Riuscire a fare la stessa cosa in Big East richiede un atto di fede, ma a Providence sono abituati: a volte è andata bene, con Rick Pitino ed Ed Cooley, altre no.

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