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Il secondo viaggio in Italia di Eric Mika

Autore: Isabella Agostinelli
Data: 4 Ott, 2017

Due anni passati in missione religiosa in Italia, una stagione con BYU da incorniciare nel 2016-17, la chiamata dei Miami Heat alla Summer League e infine la decisione di indossare la maglia della VL Pesaro nel nostro campionato. Un percorso alquanto insolito che fa di Eric Mika un personaggio tutto da conoscere. Ecco qui la sua storia, tra religione, basket e una missione speciale per questa stagione.

È vero. A prima vista assomiglia molto a Ivan Drago: non faccio fatica a credere che in Italia molti lo fermassero per chiedergli un’imitazione, come ha raccontato lui stesso in un’intervista al Salt Lake Tribune. Ma oggi non c’è tempo per i siparietti, anche perché tra tutti i rookie arrivati in Italia, la storia del nuovo centro di 2.08 cm per 105 kg della franchigia marchigiana è “one of a kind”.

Classe 1995, Eric è davvero un giocatore “atipico” della Ncaa, tanto per riprendere il profilo stilato da NBADraft: un atleta saggio, sposato e dai profondi valori religiosi. Così profondi da lasciare nel 2014 il basket per due anni per dedicarsi alla sua missione con il gruppo mormone della Church of Jesus Christ of Latter Day Saints (LDS), un’esperienza che lo ha segnato e che gli ha permesso, al suo ritorno negli States, di giocare la sua migliore stagione con la maglia di Brigham Young University.

“Per coloro che non sapessero di cosa si tratta, la “missione” è un periodo nel quale sono stato in mezzo alle persone per parlare di quello in cui credo e per aiutare gli altri a creare una connessione con Dio”, mi racconta con una voce calma e pacata, ben distante da quel “io ti spiezzo in due” del suo iconico alter ego. “E’ stata un’esperienza davvero importante dato che mi ha permesso di capire ciò che è importante nella mia vita e cos’è la vera felicità: aiutare il prossimo, conoscere altre persone e imparare qualcosa da chiunque si incontri nel proprio cammino. Un insegnamento che mi porterò sempre con me”.

E visti i risultati della stagione passata – chiusa con 20.3 punti di media a partita, 9.2 rimbalzi, 1.9 stoppate e la nomination all’All-West Coast Conference First Team – gli chiediamo se e come questa parentesi romana lo abbia aiutato: “Sicuramente non a livello fisico – ride toccandosi la pancia – mangiavo pasta tutti i giorni e la cucina italiana mi piace tantissimo. Così tanto che ho messo su qualche chilo! Avevo solo mezz’ora la mattina per dedicarmi all’esercizio fisico e come puoi ben capire, è davvero molto poco per potersi allenare. Senza contare il fatto che questo ritaglio di tempo era dalle 6.30 alle 7 del mattino. Ma sicuramente mi ha aiutato molto a livello mentale in quanto l’obiettivo principale della missione è quello di raccontare agli altri il motivo per il quale uno si sente felice e questo aiuta a rinforzarsi nel proprio animo e a mettere in ordine le proprie priorità”.

Ma non si tratta di una semplice questione di valori: “Dietro c’è anche tanto lavoro”, mi assicura. “Al mio ritorno negli States a maggio, ho lavorato davvero duro. Dovevo rimettermi in forma e trovare la giusta condizione atletica, obiettivo che ho raggiunto grazie ai miei allenatori alla BYU a cui devo davvero molto. Inoltre, ho avuto al mio fianco dei compagni di squadra fantastici che hanno fatto sì che, nonostante i tanti alti e bassi durante la stagione, potessimo chiudere con dei grandi risultati”.

Uno su tutti, la vittoria contro Gonzaga 79-71, la prima contro la numero 1 del seeding . Quella sera, il ragazzone di Alpine (Utah) ne ha messi 29 rovinando la Senior Night degli Zags che ha perso così la prima partita della stagione. “É stata la notte più bella dell’anno”, dice sorridendo. “Non posso nascondere che sia il mio ricordo più bello del college: dopo tanti alti e bassi durante la regular season, è stata una vera e propria vittoria di gruppo ed è arrivata precisamente perché siamo riusciti a giocare di squadra e in maniera unita”.

 

Dopo quella partita e la vittoria contro Loyola Marymount 89-81 al primo turno del torneo di conference della WCC, in molti pensavano che BYU avrebbe potuto fare il colpaccio ed entrare nel torneo Ncaa. Invece… “Invece – mi interrompe – proprio quando tutti pensavamo di essere pronti per la Big Dance è arrivata la sconfitta contro Saint Mary’s (51-80 al secondo turno del torneo della WCC) e a quel punto sapevamo di essere fuori, ma volevamo prolungare la stagione il più possibile”, anche se al primo turno del NIT è arrivata un’altra pesante sconfitta contro UT-Arlington (89-105).

Nonostante un finale di stagione da dimenticare, Eric è stato invitato all’annuale Nba Draft Combine a Chicago, l’appuntamento riservato ai migliori giocatori di college della stagione, ma poi non è stato scelto al draft. Ha però attirato le attenzioni di Miami che lo ha convocato per la Summer League, assieme a quello che avrebbe dovuto essere un suo compagno di squadra alla Vuelle, cioè Zak Irvin. “Ero contentissimo quando ho ricevuto la chiamata degli Heat! Miami è una franchigia che aiuta gli undrafted come me ad allenarsi nella giusta maniera e, soprattutto, a trovare dei buoni contratti. Riescono a mettere in luce le tue potenzialità e a lavorare su quegli aspetti; inoltre sanno investire su quei giocatori che hanno voglia di lavorare, proprio come me. Ecco, posso dire che io sono precisamente il tipo di giocatore da Miami Heat ed è per questo che la loro chiamata mi ha riempito di orgoglio. In realtà, avendo preso parte alla missione a Roma, avevo ancora due anni di eleggibilità al college ma sinceramente non vedevo l’ora di poter entrare nel circuito professionistico. Quando ho poi avuto la proposta di Pesaro di venire in Italia a giocare, l’ho visto quasi come una benedizione: poter giocare in un Paese del quale conosco già la cultura e la lingua non può essere definito che in questa maniera”.

Un piccolo infortunio gli ha fatto saltare alcune partite di precampionato e la sua prima gara in serie A, persa in casa contro Brescia, non è stata di quelle da ricordare ma Mika sarà senz’altro uno dei giocatori chiave per la Vuelle di questa stagione. E poi? “Non penso troppo alla Nba – spiega – Certo, è un mio obiettivo, ma adesso tutte le mie energie sono rivolte a fare la stagione migliore possibile nel campionato italiano. Penso che riusciremo ad ottenere buoni risultati: coach e giocatori mi piacciono, tutto sta andando bene e siamo un gruppo di giovani pieno di entusiasmo e di passione verso questo gioco, due elementi che potrebbero essere la chiave del nostro gioco e delle nostre vittorie. Grazie ai due anni passati in missione qui in Italia, ho avuto la possibilità di fare delle esperienze molto significative e di crescere molto: è uno dei miei punti di forza. Saprò usare queste esperienze e il fatto che parlo italiano per aiutare a creare un gruppo più forte e più coeso: veniamo da Paesi e da culture molto diverse e creare un gruppo unito sarà fondamentale”.

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