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Zak Irvin, il mio anno incredibile a Michigan

Autore: Isabella Agostinelli
Data: 20 Set, 2017

Avevo già incontrato Zak Irvin nel 2014, quando il 22 agosto, con la maglia di Michigan, era stato ospite del College Basketball Tour ed era stato premiato come miglior giocatore della rassegna vicentina. Non immaginavo, re-incontrandolo a Pesaro tre anni dopo, che mi sarei imbattuta mio malgrado nel personaggio del momento. Eh sì, una delle notizie del giorno nel basket italiano è che Irvin all’improvviso (e apparentemente senza spiegazioni) ha deciso di lasciare la squadra di Pesaro, scusandosi per il disagio che causava. Nel nostro incontro di pochi giorni fa, invece, aveva mostrato entusiasmo e voglia di chiacchierare e aveva risposto alle domande a suon di risate e di imitazioni. Vi proponiamo comunque la sua intervista, senza editarla, e quindi con qualche risposta che alla luce della sua scelta oggi appare bizzarra. Ma a noi interessava soprattutto il suo racconto dell’ultima, straordinaria stagione di Michigan. E in questo siamo stati fortunati.

Nel 2014 sei venuto con Michigan in Italia per una serie di amichevoli durante il College Basketball Tour: quell’esperienza è stata decisiva per maturare la decisione di venire a giocare qui in Italia?

Ciao! (mi dice direttamente in italiano dandomi il cinque) Sì, sono venuto nel vostro Paese durante il mio secondo anno a Michigan: è stata un’esperienza incredibile! Abbiamo visitato Roma, Verona e Siena e ovunque siamo andati le persone ci hanno sempre accolto benissimo. È stato bello poter vedere tante città e il viaggio è stato utile per conoscere l’Italia un po’ più da vicino. Per me si è trattato di un vero e proprio colpo di fulmine ed è anche per questo che ho deciso di ritornarci per giocare.

Al tuo ultimo anno di college sei stato classificato come un “4 star player”, hai preso parte alla Summer League con i Miami Heat e poi ad agosto hai deciso di venire a giocare qui in Italia. Una scelta che ha colto di sorpresa molti addetti ai lavori: come la spieghi e quali sono i tuoi obiettivi per questa stagione?

Il mio obiettivo è sempre la NBA. Ciascuno di noi sceglie la propria strada, giusta o sbagliata che possa sembrare agli altri; io personalmente sono elettrizzato all’idea di giocare qui in Italia dove avrò sicuramente la possibilità di giocare molto e quindi di mettermi in luce e soprattutto di migliorare in vista del salto nel professionismo americano. Cercherò di sfruttare al massimo questa opportunità che mi viene concessa qui a Pesaro.

Perché Pesaro allora?

Naturalmente la spiaggia (ride) ma so che Pesaro ha una tradizione cestistica molto importante e che il suo staff tecnico è molto preparato, un aspetto che considero fondamentale per raggiungere i miei obiettivi per questa stagione. Inoltre, sentivo che avrei fatto parte di un bel gruppo di giocatori, un elemento chiave per il successo di una stagione.

Facciamo un passo indietro alla tua estate, prima della decisione di raggiungere la Victoria Libertas. Quando gli Heat ti hanno contattato per prendere parte alla Summer League con loro, come hai reagito? Te lo aspettavi?

Naturalmente è stato un onore. Quando è arrivata quella chiamata ero ancora “undraffed” e sono stato contento di aver avuto la possibilità di giocare con loro. Sapevo che avrei potuto imparare molte cose ma soprattutto sono grato di questa opportunità in quanto mi ha aperto le porte per venire qui in Italia.

Sei molto legato alla tua famiglia e alla tua senior night c’era una vera e propria “Irvin gang” di decine di persone al Crisler Center. Come hanno reagito alla tua decisione di trasferirti in Italia?

(Esplode in una fragorosa risata alla parola “Irvin gang”) La mia “gang”, come l’hai chiamata tu, sa quanto ci tenessi a diventare un professionista e quindi, anche se questo ha voluto dire andare lontano da loro, sono stati molto contenti per me quando ho detto loro che sarei andato a giocare nel campionato italiano. Certo, per me si tratta di un salto molto grande: è la prima volta che starò così lontano dalla mia famiglia e per così tanto tempo. Ma farò in modo che possano venire a vedere qualche partita qui! Sarà sicuramente piacevole avere qualche volto famigliare che fa il tifo per me in tribuna!

 

Ripercorriamo un po’ insieme i passi che ti hanno portato qui. Iniziando con il tuo primo anno a Michigan: subito in campo al debutto, nominato due volte “freshman of the week” e Michigan ha chiuso al primo posto nella sua conference. Come hai vissuto il tuo anno da freshman nella squadra che nella stagione precedente aveva lottato per il titolo? Aspettative? Paure?

Il mio freshman year è stato molto positivo. Volevo giocare nella NCAA e poter entrare in un programma come quello di Michigan è stato davvero speciale. Sin da subito ho avuto la possibilità di scendere in campo e con un minutaggio molto alto, cosa che non capita spesso al primo anno. In queste condizioni, il passaggio dalla High School quindi è stato molto stimolante e senza traumi. Poi, l’anno prima i Wolverines avevano giocato le finali NCAA e quindi sono arrivato in un momento in cui l’atmosfera che si respirava era assolutamente fantastica: c’era molto entusiasmo intorno alla nostra squadra e i nostri tifosi ci erano davvero vicini.

Parlando del passaggio al college e del tuo anno da matricola; i fan vedono solo la parte più eccitante dell’essere un giocatore di college, ma sappiamo bene che in realtà dietro la vita di uno studente/atleta ci sono tanti sacrifici e lavoro. Parlaci un po’ di questo aspetto più nascosto.

È davvero tosto: da studente devi seguire le lezioni, svolgere gli esami e consegnare i papers; da atleta ti devi allenare quasi 20 ore a settimana e giocare le partite. Quando torni a casa dagli allenamenti, spesso sei sfinito e capita di tornare dalle trasferte anche alle 2 del mattino, ma i compiti li devi fare lo stesso dato che devi mantenere sempre una certa media sei vuoi giocare. All’inizio non è facile, ma anno dopo anno ti adatti ai ritmi.

Continuiamo con la tua storia: 10 marzo 2016, Bankers Life Fieldhouse…

(Risponde prima che la domanda finisca) Non mi scorderò mai di quella partita: giocare ad Indianapolis con addosso il titolo di Mr Indiana Basketball è stata una notte speciale, senza contare le quasi 20.000 persone che erano lì e che mi applaudivano. Amo essere circondato dal grande pubblico e do il meglio in questi contesti. Poi l’aver vinto quella partita (contro Northwestern ai tempi supplementari 72-70 con il suo canestro decisivo) ha reso quell’esperienza ancora più straordinaria.

 

Il tuo ultimo anno è stato incredibile. Partiamo però dall’incidente di marzo: stavate raggiungendo Washington DC per giocare la prima partita del torneo della Big Ten contro Illinois ma il vostro aereo poi non riesce a decollare per il vento e finisce fuori pista. Raccontaci com’è andata.

(Sorride ricordando l’episodio e mima l’intero incidente con l’aereo che va fuori pista e lui che si sveglia di soprassalto). Mi sono spaventato tantissimo, è stato come essere dentro a un film! Mi ero già addormentato quando ho sentito il pilota dire che stavamo per schiantarci: ero terrorizzato come il resto dei miei compagni. Fortunatamente siamo rimasti tutti illesi ma la mia paura più grande era il fatto che avremmo dovuto riprendere un altro aereo da lì a due ore. É stata un’esperienza alquanto agghiacciante che ci ha scosso un po’ tutti…ma alla fine siamo riusciti a giocare una grande partita quella sera!

L’aereo di Michigan finito fuori pista

Quella sera avete battuto Illinois. Poi di seguito Purdue, Minnesota e Wisconsin: 4 vittorie in 4 giorni partendo con il seed n.8, e avete vinto il primo torneo di conference della storia dei Wolverines. “Ricorderete per sempre quello che avete fatto”, vi ha detto coach Beilein dopo la finale.

Sì, avevamo fatto qualcosa di incredibile: quattro vittorie consecutive e un trofeo che Michigan non aveva mai raggiunto. Eravamo davvero un grande gruppo composto da buonissimi giocatori. È stato un risultato davvero importante per me e per tutta la squadra.

A proposito di coach Beilein: in un sondaggio della CBS, è stato votato come il più coach più corretto e rispettoso delle regole della NCAA. Parlaci di lui, che insegnamenti ti ha dato?

È sicuramente un grande coach e mi ha aiutato a crescere non solo a livello professionale, ma anche e soprattutto come uomo. Ho passato con lui quattro anni e gli devo molto. Ricordo ancora i suoi consigli quando ero al mio primo anno di college e non riuscivo a tirare come avrei voluto: “C’è una differenza tra il semplice tirare bene e il giocare bene”. Mi porterò questa lezione ovunque vada.

E poi un grande torneo, eliminando Louisville (73-69) e arrivando fino alle Sweet16. Qualche rimpianto per quel minuto finale contro Oregon senza segnare (perdendo per un solo punto 68-69)?

(Prima di rispondere tira un lungo sospiro) Ricorderò per sempre quella maledetta partita: ci stavamo giocando l’accesso alle Elite 8 ed è stata una sconfitta pesante. Dopo le quattro vittorie consecutive e il nostro percorso, sentivo che tutti facevano il tifo per noi. Non riuscivamo a mettere più dentro la palla e il nostro attacco era semplicemente bloccato. Abbiamo sprecato una grandissima opportunità, non c’è che dire.

 

E chiudiamo con le tue aspettative per quest’anno e le tue ambizioni future.

Voglio migliorare il più possibile in modo da essere pronto per la NBA nella prossima stagione. So che il campionato italiano è molto competitivo e quindi ogni sera dovrò dare il meglio di me!

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