In genere, nessuno si aspetta che un allenatore sulla cinquantina si ritiri e nessuno si aspetta che la decisione arrivi quando mancano solo un paio di settimane all’inizio della nuova stagione. È per questi motivi che l’annuncio di Tony Bennett ha avuto un effetto-shock nel mondo del college basketball, ma chi è familiare col personaggio è tutto tranne che sconvolto dai motivi che l’hanno portato a chiudere la propria carriera. “I didn’t know it would happen like this, but when you know in your heart it’s your time, it’s your time”, ha detto il coach di Virginia col groppo in gola nella sua ultima conferenza stampa.
Un titolo nazionale (l’unico nella storia di UVA) conquistato con un arco degno di un film, dieci viaggi alla March Madness, sei titoli di regular season e una lunga serie di riconoscimenti individuali. In 15 anni di gestione, Tony Bennett ha portato Virginia su vette prima inesplorate per il programma, portandola alla pari delle blue blood della ACC, Duke e North Carolina, e facendolo a modo suo. Un modo non facile, poco attraente, fatto di difese complesse, ritmi lentissimi e pochi canestri segnati, ma in definitiva molto efficace.
“That’s the beauty of this sport: you get to choose how you do it”. Sì, puoi scegliere, ma il ventaglio di possibilità si è assottigliato notevolmente negli ultimi anni in quanto a stile di gioco e di gestione della squadra. E i primi a soffrirne sono i coach che pongono l’accento sul player development – fiore all’occhiello della carriera di Bennett, che ha mandato una sfilza di underdog nella NBA – visto che la continuità nei roster è ormai retaggio del passato, mettendo un freno alle prospettive di lavoro pluriennale coi giocatori.
Culture è la parola più usata e abusata nel college basketball, ma di certo a Virginia, come in pochissimi altri posti, ha senso. Bennett, con pazienza e lungimiranza, ha costruito negli anni una cultura vincente basata per lui su cinque concetti base, da lui ribattezzati pilastri. E i primi due sono quelli che gli hanno tolto il sonno ultimamente: “Humility and Passion. Humility means know who you are and have sober judgement. Passion means do not be lukewarm, be wholehearted in all you do. […] I looked at myself and I realized I’m no longer the best coach to lead this program in this current environment. If you’re going to do it, you have to be all in. If you do it half-hearted it’s not fair to the university and those young men”.
Tra un mercato NIL così sregolato e furioso da ricordare la Corsa all’Oro e un transfer portal perennemente affollato, c’è poco da sorprendersi se un tipo vecchio stampo come Bennett finisce con le batterie scariche, alle prese con un lavoro che ora comprende competenze nuove, una pluralità di attori coi quali confrontarsi continuamente e, in genere, ritmi incessanti. Il reclutamento davvero non si ferma mai e l’allenatore non è più solo allenatore.
Tempi nuovi che richiedono modi diversi di organizzarsi nel college basketball (state certi che presto la figura del GM diventerà norma), ma anche regole diverse. Tony Bennett non ha mancato di sottolinearlo in maniera concisa ma anche precisa durante il suo addio: “I think it’s right for student-athletes to receive revenue […] but the game is not in a healthy spot. There needs to be change and it’s not gonna go back. […] It’s going to be closer to a professional model, where there’s got to be collective bargaining, there has to be a restriction on the salary pool that team can spend, there has to be transfer regulation restrictions, there has to be some limits on the agent involvement”.
È difficile negare che il college basketball abbia perso un pezzo della propria anima nell’ultimo paio d’anni. E con l’addio di Bennett, perdiamo una delle figure più carismatiche e interessanti che questo mondo ci ha regalato nell’ultimo decennio e mezzo: innovatore, riflessivo, sempre sorridente, con quell’aria zen che prima ti confonde, poi t’insospettisce ma spesso infine ti convince.
Non si può tornare indietro. E non si deve. Auguriamoci solo che la pallacanestro Ncaa dei prossimi anni sia in grado di evolvere, offrire maggiori certezze, maggiore equilibrio. Ritrovare e reinventare la propria essenza. Solo così fioriranno nuovi personaggi-simbolo, quelli che danno forma a un mondo intero con la loro passione e la loro intelligenza. Quelli come Tony Bennett.