Negli ultimi trent’anni di college basketball, Oklahoma è riuscita a ritagliarsi stabilmente un posto fra le grandi, pur non essendo uno dei programmi più celebrati che ci siano. Billy Tubbs, Kelvin Sampson, Jeff Capel e Lon Kruger sono i quattro coach che l’hanno allenata in questo periodo e tutti e quattro l’hanno portata come minimo alle Elite Eight. In tre addirittura alla Final Four e quello che non l’ha raggiunta, Jeff Capel, ha prodotto l’unica prima scelta assoluta della storia dell’università, Blake Griffin.
Per questo, quando coach Lon Kruger ha annunciato il suo ritiro per andare ad aiutare il figlio Kevin alla sua prima esperienza a UNLV, il direttore atletico Joe Castiglione ha deciso di convincere Porter Moser a lasciare Loyola-Chicago, il programma che era diventato molto più di una Cinderella. Per proseguire una tradizione vincente (29 apparizioni al Torneo dal 1983) e per fare l’ultimo passo per entrare nei piani alti della Division I. A questo Moser non ha potuto dire di no.
Loyola non basta
La decisione di Moser, però, è meno scontata di quello che si possa credere. Ha dimostrato di non essere il classico allenatore che riscuote il successo avuto con una mid major, firmando il primo contratto possibile con un’università delle Power 6. Porter Moser è uno che ha investito dieci anni per costruire un programma vincente a Loyola-Chicago, non il college più famoso dell’Illinois. Infatti, dopo la splendida corsa che ha portato i Ramblers alla Final Four nel 2018, era rimasto lì per dare seguito a ciò che era successo.
L’ambizione del direttore atletico di Loyola Steve Watson era quella di diventare la nuova Gonzaga e, per farlo, bisogna innanzitutto avere l’uomo giusto al timone e poi far remare tutto il comparto sportivo dalla stessa parte. Voleva che i risultati sportivi trainassero l’intera università e farla diventare più grande, più conosciuta e più prestigiosa. Il restyling era arrivato con nuovi spogliatoi e con un nuovo centro di allenamento per far sì che i giocatori non condividessero le facility con i ragazzi della pallavolo. Insomma la visione di Watson era quella di diventare una powerhouse a livello nazionale e l’AD era persino volato a Spokane per carpirne i segreti.
Il segreto del successo di Moser risiede nella costruzione bilanciata del roster: senior a cui aggrapparsi e underclassmen che crescono giocando. Cameron Krutwig è l’esempio: imprescindibile nei meccanismi sin dall’anno delle Final Four (il suo primo anno), per poi diventare un All-American nell’anno da senior. Ha imparato da Ben Richardson e da Clayon Cluster (rimasto nel coaching staff di Loyola e seguirà Moser a OU) e poi ha passato il manuale del mestiere ai sophomore Braden Norris e Marquise Kennedy. Non solo leggere la stessa pagina del libro, ma aiutare i più piccoli ad analizzarlo.
“Loyola è il lavoro giusto per me, perché dovrei fuggire dal posto che mi rende felice?” si era chiesto Moser nell’estate del 2019, quando rifiutò la panchina di St. John’s. Dopo il 2018 era diventato uno dei nomi più caldi di tutta la nazione, ma l’offerta giusta non era mai arrivata. Quest’anno il sentore che si potesse muovere c’era sia per il prestigio delle panchine disponibili sia perché ci siamo ricordati quanto fosse bravo, dopo due anni in cui i risultati erano arrivati (un primo e un secondo posto in Missouri Valley) ma non l’ingresso al Torneo.
I mean, Illinois was the hottest team in America coming into the tournament. And Loyola just Big Boyed them.
Porter Moser, man. This is going to be a helluva payday for him, whether that’s from Loyola or one of this high-majors in the Midwest that are now open.
— Rob Dauster (@RobDauster) March 21, 2021
Il grande merito di Moser è stato quello di cambiare l’immagine del programma: “Penso che la gente, ora, guardi in modo diverso il nome di Loyola rispetto a otto anni fa. C’è molto di cui andare fieri”, ha detto Porter Moser dopo l’eliminazione al Torneo per mano di Oregon State. Un’eredità importante per il suo successore, il giovanissimo (ma già discretamente quotato) Drew Valentine.
Oklahoma, la nuova casa
Scegliere Oklahoma come nuova casa significa fare il passo più lungo possibile che la tua gamba è capace di fare. Le altre panchine disponibili erano più prestigiose, ma nascondevano delle insidie: Indiana e la sua storia ingombrante da rispolverare, Texas e la sua pressante ambizione e sicuramente ci sono compiti meno complicati dell’essere il successore di Roy Williams a North Carolina. I Sooners rappresentano per Porter Moser la nuova oasi felice in cui approdare e “piantare le radici” per nuovi successi.
Innanzitutto lo sport imperante a Norman è il football e questo fa si che Moser possa lavorare tranquillamente senza avere record da salvaguardare od obiettivi di altissimo livello sin dal primo anno. Per certi versi ricorda l’operazione fatta da Alabama con Nate Oats: spalmare il surplus del football su tutto il programma atletico e rendere anche il basket un posto attraente. Inoltre non è un programma da ricostruire: Kruger ha portato otto volte la squadra al torneo in dieci anni in una delle conference più complicate e competitive di tutta la Division I.
In una Big 12 in cui Kansas e Baylor sono programmi invidiati da tutti, Texas Tech ha avuto il suo shining moment e Texas è il programma più ricco di tutta la nazione, aggrapparsi alla cura del lavoro e alla meticolosità di un allenatore come Porter Moser sembra poter essere una mossa vincente. D’altronde, gli anni a Saint Louis ad imparare da un genio del gioco (definito così proprio da Moser) come Rick Majerus hanno dato i loro frutti. Non sarà un personaggio eccentrico e unico come il gigantesco e compianto coach di Utah, ma a livello di capacità nel costruire un programma vincente siamo a quei livelli.
Arrivare in una Power Conference cambia le prospettive per un coach che arriva dalla mid major. Non ci si gioca l’ingresso alla Madness in tre partite ad eliminazione diretta a marzo, bensì le occasioni si spalmano nell’arco di una stagione. L’altra faccia della medaglia è che, per fare una stagione di livello nella Big 12, occorre un roster estremamente competitivo.
Via un lungo di culto come Brady Manek (andrà a UNC), ne arriva un altro come Tanner “Flying Porchetta” Groves da Eastern Washington e con lui suo fratello Jacob. Per un fortissimo difensore perimetrale come De’Vion Harmon (Oregon) che va via, ne arriva uno altrettanto buono come Jordan Goldwire da Duke. La perdita di Austin Reaves, miglior scorer della squadra, sarà compensata dall’apporto dei due Groves e dalle due scholarship ancora disponibili (si parla tanto di Bryce Thompson di Kansas), ma Moser avrà a disposizione i vari Elijah Harkless, Umoja Gibson e Jalen Hill, ovvero componenti fondamentali nella squadra del 2020-21.
Insomma, Porter Moser ha tutto per continuare la grande tradizione dei coach di Oklahoma. Se dovesse arrivare un’altra Final Four, sarebbe il quarto allenatore dei Sooners a raggiungerla dal 1988. Solo altre quattro università hanno avuto nella propria storia quattro coach capaci di portare la propria squadra alle Final Four: UCLA, North Carolina, Kentucky e Kansas. Con l’arrivo dell’ex Loyola a Norman, forse, dovremmo abituarci a sentire più spesso il nome di Oklahoma.