Da Chaz Lanier cecchino per una Tennessee temibile al calendario vergognoso messo insieme da Kansas City: ecco le pagelle della Week 3.
Chaz Lanier (Tennessee). Si alza il livello degli avversari e il transfer da North Florida alza il proprio. 13 punti di media contro squadre mid e low major, 23.3 contro rivali di Power 5: chiedere a Baylor e a Virginia cosa si prova ad esser colpiti dal tiro da tre di Lanier (13/22 in due giorni). Range infinito, non gli si può lasciare un metro libero quando corre sul perimetro, fiuto per i tagli, capacità di mettere palla per terra e attaccare. Dalton Knecht sta facendo le fortune dei Lakers, ma Lanier è proprio bravo a non farlo rimpiangere.
Derik Queen (Maryland). Se va avanti così la NBA se lo metterà sui taccuini molto presto. Parliamo di un 208 cm con stazza che non disdegna andare a rimbalzo, ma soprattutto che ha mani morbidissime. Al momento è un po’ rivedibile la shot selection (dà l’impressione di voler tirare sempre lui) ma è anche vero che è difficilmente arrestabile. C’è la sua firma nella rimonta con sorpasso finale di Maryland su Villanova (sempre più a fondo, sigh). Alla fine 22 punti, 11 rimbalzi, 5 assist e 1 stoppata.
Alabama. Il primo tempo contro Illinois è la risposta autorevole di una grande squadra. Manca ancora Mark Sears all’appello (0 punti contro gli Illini), ma coach Nate Oats può contare sull’inizio fulminante di un Labaro Philon che flirta con la tripla doppia (16 punti, 9 assist e 7 rimbalzi) e l’elettricità di Aden Holloway dalla panchina. La profondità dei Crimson Tide permette di assorbire anche delle giornate storte delle stelle, ma con il filotto in arrivo (Houston, Creighton e il cammino del Maui) servirà ritrovare il miglior Sears.
Geronimo Rubio de la Rosa (Columbia). Per la prima volta in 55 anni i Lions iniziano una stagione con sette vittorie in sette gare e grandissima parte del merito va al senior dominicano, il cui feeling con il canestro sta raggiungendo livelli d’élite. Quinto marcatore in NCAA, in settimana ha segnato un nuovo record personale con 37 punti dall’efficienza irreale contro Stony Brook (5/5 da due e 9/13 da tre). Lasciargli anche solo un po’ di spazio da oltre l’arco è peccato mortale.
Ace Baldwin (Penn State). Probabilmente coach Mike Rhoades affiderebbe anche le sue coordinate bancarie a lui. Reduce da due doppie doppie, Virginia Tech è stata affondata grazie alla sua difesa e alla sua capacità di generare scoring gravity per poi trovare un compagno libero (19 punti e 10 assist). Contro Purdue Fort Wayne, invece, Penn State se l’è vista brutta e si è dovuta affidare nel secondo tempo proprio a Baldwin (25 punti e 11 assist con il 78% dal campo). Si confeziona così la migliore partenza dei Nittany Lions nell’ultimo lustro.
Maxime Raynaud (Stanford). Sei partite, sei vittorie e sei doppie doppie. Vero che il calendario è stato soft fin qui, ma ciò non toglie che i Cardinal abbiano di ché rallegrarsi e che il lungagnone francese sia a dir poco impressionante. Career-high (33 punti) con UC Davis e una settimana dopo altro trentello (32) nella sfida più tosta finora, in casa di Santa Clara. Tocco vellutato con entrambe le mani, range di tiro e persino diversi flash palla in mano in campo aperto. Così dominante ormai che anche gli arbitri ora gli riservano il trattamento da star e chiudono un occhio quando si fa largo in post basso e gira attorno ai limiti del fallo di sfondamento.
Mountain West. È praticamente impossibile replicare l’epico 2023-24 che ha portato sei squadre al Torneo, ma la conference si sta comportando come dovrebbe, cioè da top Mid senza se e senza ma. Nevada, Boise State e Utah State sono nella Top 50 di KenPom con New Mexico e San Diego State poco distanti. Quest’ultima ha disputato solo tre gare ed è l’unica fra queste a non avere ancora una possibile vittoria Quad 1 in tasca (occhio però perché giocherà con Creighton e Oregon in settimana). Colorado State, beffata da UC Riverside all’OT in settimana, è l’unica delusione fin qui ma avrà diverse occasioni per rifarsi.
Kasparas Jakucionis (Illinois). Un gioiello che brilla in una squadra che (come nelle ultime stagioni) vive di alti e bassi, anche all’interno delle stesse partite. Il lituano però è un piacere da guardare in campo, nonostante qualche palla persa di troppo e una mira non da cecchino dall’arco. Eppure il talento è lì da vedere, tra passaggi illuminanti e tiri presi nei momenti caldi. Dovesse ancora migliorare, scalerebbe anche posizioni al draft.
VCU. Record 1-2 al Charleston Classic: non un disastro, anzi, ma era lecito aspettarsi qualcosa di più. Vincere con Nevada avrebbe regalato contorni interessanti al loro curriculum e invece è arrivata una sconfitta di misura, mentre la L con Seton Hall (pur arrivata all’OT) è una mezza macchia e la W strappata con una brutta Miami probabilmente non sposterà in futuro. La squadra a tratti gioca da Top 25 ma la continuità di tenuta nel corso del match è un problema da risolvere al più presto.
Davide Poser (New Hampshire). Lanciato nello starting five per sopperire all’assenza di Trey Woodyard, il sophomore sta garantendo capacità di tiro che il suo compagno sembrava aver smarrito quest’anno: 14 punti di media e 11/17 da tre complessivo nelle ultime 3 gare. Con Holy Cross l’aveva quasi vinta lui e poi nel finale in volata con Marist ha fallito la tripla del possibile pareggio. Insomma, numeri individuali molto buoni ma da solo non può spostare l’ago della bilancia in una squadra in netta difficoltà (record 2-7 e le uniche vittorie sono arrivate con formazioni di Division III).
Simeon Wilcher (St. John’s). È solo un sophomore e avrà tempo per maturare sotto coach Pitino, ma è uno di quelli che ha peggio performato nelle due sconfitte dei Johnnies contro Baylor (buttata via anche dai compagni ai liberi) e contro Georgia. Nel primo match alcune palle perse sanguinose che hanno permesso ai Bears di rifarsi sotto e contro i Bulldogs un tecnico in un momento cruciale della partita che ha pesato sull’inerzia della gara. Dovrebbe portare energia dalla panchina, per ora si vede solo la voglia ma meno i risultati.
Purdue. Con Trey Kaufmann-Renn al posto di Zach Edey il volto dei Boilermakers si era trasformato in una versione più mobile della squadra dello scorso anno. Ma coach Matt Painter poteva conservare l’idea di utilizzare il freshmen di 220 cm Daniel Jacobsen per ripristinare un totem sotto canestro. Ecco, ora Purdue dovrà affidarsi a questa versione scarica a causa dell’infortunio al centrone che lo terrà fuori per tutta la stagione. Pesa perché dopo sei partite i Boilermakers sembrano soffrire non poco a rimbalzo.
Robert Morris o Morris Robert. La squadra di Andrew Toole, che ha conosciuto solo difficoltà da quando si è trasferita nella Horizon, ha inanellato cinque vittorie di fila per la prima volta dal 2019-20, ma non è per questo motivo che è riuscita a far parlare di sé. Nella trasferta con Cornell si è presentata con alcune uniformi che riportavano la scritta “Morris Robert” anziché Robert Morris. Difficile imporre il proprio nome nel mondo NCAA quando pure chi ti fa le maglie non sa come ti chiami.
Steven Ashworth (Creighton). Pessima gara in un derby, con tanto di infortunio. Ci accaniamo anche noi dando un brutto voto al play di Creighton, ingabbiato totalmente dalla gran partita difensiva di Nebraska, capace di mettere tantissimo pressione all’ex Utah State e a isolare Ryan Kalkbrenner, autore solo di 4 punti nella partita. Sette palle prese alla fine per lui e tante forzature dalla distanza (4/13 da tre) per cercare di trovare ritmo e fiducia. Tra lui e Pop Isaacs non fanno un vero play, ma le opzioni dalla panchina scarseggiano per coach Greg McDermott, che ora deve affrontare il Player’s Era Festival senza di lui.
Arizona. Coach Lloyd è apparso un po’ sconsolato e questo non è un bel segnale. Le due sconfitte consecutive (prima volta nell’era del nuovo allenatore) pesano come un macigno sul morale della squadra. Il leader Caleb Love continua a essere dannoso, ma non è che il resto dei compagni brilli. Contro Duke, i Wildcats sono stati tenuti a 55 punti complessivi. Parte è merito della difesa dei Blue Devils, ma parte nasce da una squadra che sembra rimasta alla prestagione.
Rutgers. Meraviglioso Dylan Harper (21 punti con canestri pesanti), incisivo nel finale Ace Bailey (17 punti e una tripla pesantissima nel finale). Ma gli Scarlet Knights non possono vivere e morire con solo due stelle, peraltro al primo anno. Il talento basta contro squadre di bassa classifica, ma alla prima sfida un filo più seria si sono visti tutti i limiti del “solo talento”. E Rutgers non ha ancora affrontato nessuna squadra di Power 5. In bocca al lupo.
Greenbrier Tip-Off. Sia chiaro, siamo fan di location particolari e palestre vintage (ogni volta che Seton Hall gioca al Walsh ci si scalda il cuore) ma questo non vuol dire che posti del genere siano adatti a tutte le occasioni. A molti fan di Wisconsin, Pitt etc non è andata giù di spendere il weekend nella vetusta sala da ballo di un resort sperduto fra le montagne del West Virginia anziché andare, che so, alle Bahamas. Chi invece stava davanti agli schermi di casa magari avrà trovato lo scenario carino, salvo assistere a problemi tecnici di vario tipo (diretta tv a singhiozzo, luci sfarfallanti, cronometro che non funziona). Prima edizione di questo torneo e già in molti sperano sia anche l’ultima.
Kansas City. Tra le tante, troppe partite-fuffa che vengono disputate in questo periodo dell’anno spicca in negativo la fu UMKC, che ha davvero raschiato il fondo del barile in quanto ad avversarie da umiliare. Lunedì i Roos hanno battuto per 119-19 Calvary, formazione della ultra scadente NCCAA, esattamente dieci giorni dopo un 124-36 rifilato a una squadra della medesima lega. Il programma della Summit è così diventato il primo nella storia della Division I a vincere due gare con almeno 85 punti di scarto nel corso di una stagione. Contenti loro, però intanto il record è di 4-4 senza una singola W strappata con avversarie di D1.