Virginia campione, stagione 2018/19 archiviata e squadre in riposo fine al prossimo novembre? Niente affatto! L’inizio dell’offseason nel college basket ha già regalato vari colpi sul versante delle panchine con un vero e proprio valzer dei coach. In attesa di sapere chi occuperà il posto di Chris Mullin a St. John’s e Dave Rose a BYU, diamo un’occhiata ai cambi dei principali programmi.
L’occasione della vita
Non è esagerato dire che Mick Cronin si trova davanti l’occasione della vita con la chiamata di UCLA. Non capita infatti tutti i giorni di essere nominato coach dei Bruins, il programma più vincente nella storia del college basket in cerca di riscatto e di un titolo Ncaa che manca dal 1995. Non si può dire però che Cronin sia stata la prima scelta losangelina dopo i contatti e i relativi rifiuti dei vari John Calipari, Tony Bennett, Rick Barnes e Jamie Dixon, con quest’ultimo ad un passo dalla panchina prima che UCLA si tirasse indietro, preferendo non pagare gli 8 milioni di dollari che TCU chiedeva per il suo buyout.
24 milioni in 6 anni e la storia di un programma leggendario hanno convinto Cronin che, dopo 13 anni alla guida di Cincinnati con un record di 296-147 e 9 apparizioni consecutive al Torneo Ncaa, è pronto a portare “difesa, disciplina e durezza” (stando alle parole dell’Athletic Director Dan Guerrero) ad un programma in crisi d’identità. Per sostituire Cronin, Cincy ha scelto il 45enne John Brannen, coach emergente chiamato a una grande occasione dopo aver allenato nelle ultime quattro stagioni Northern Kentucky, centrando per ben due volte il Torneo Ncaa.
Il ritorno dei figliol prodighi
“Mike Young, Buzz Williams e Fred Hoiberg bentornati”: potrebbe essere questo lo slogan per presentare i nuovi coach di Virginia Tech, Texas A&M e Nebraska. Dopo la scelta di Williams di tornare alla sua alma mater che lo ha visto sia alunno che assistant coach, prima delle sue esperienze da capo-allenatore a Marquette e VT, gli Hookies hanno deciso di puntare sull’esperienza di Mike Young, l’ex coach di Wofford che torna in Virginia, il suo stato natale. Il suo biglietto da visita? 17 anni alla guida dei Terriers, cinque partecipazioni alla Big Dance e un’ultima stagione chiusa con un record di 30-5 e il terzo posto nella classifica dell’AP Coach of the Year.
Capacità di reclutare talenti 5-stelle (vedasi Nickeil Alexander-Walker), tanta difesa e saper avere un forte impatto sulla cultura di un programma rappresentano, invece, il bagaglio che in Texas si augurano riesca a portare Williams dopo l’ultima deludente stagione nella SEC.
A proposito di delusioni: dopo la fallimentare esperienza Nba con i Chicago Bulls, Hoiberg torna al college che ha visto suo nonno Jerry Bush protagonista. Desideroso di riscatto e con un contratto di 25 milioni in sette anni dalla sua, basteranno come motivazione per fare bene alla guida dei Cornhuskers?
Un nome, una garanzia
Arkansas e Vanderbilt, dopo aver messo sotto contratto rispettivamente Eric Musselmann e Jerry Stackhouse, si aspettano che il peso del nome porti risultati. L’ex coach di Nevada arriva ai Razorbacks per rilanciare il programma come fatto con i Wolf Packs che, dopo aver chiuso con un record di 9-22 nella stagione 2014/15, hanno conquistato ben tre titoli della Mountain West in quattro anni sotto i suoi ordini, incluse tre partecipazioni (e una Sweet 16) al Torneo Ncaa. Un nuovo centro sportivo da 25 milioni di dollari e un tifo caldo come quello della Bud Walton Arena sono i motivi che hanno spinto Musselmann verso questa nuova sfida.
Malcolm Turner, direttore atletico dei Commodores ed ex presidente della G-League, memore del titolo vinto da Stackhouse con i Raptors 905, ha deciso di puntare sul nome e sull’esperienza da giocatore Nba di Jerry, invece, per riportare prestigio e prospetti di talento nel Tenneessee (vedasi l’accoppiata Hardway&Memphis capace di portare nel Volunteer State il prospetto numero uno della classe del 2019 James Wiseman). A Nashville si augurano che il nome e l’esperienza di Stack bastino per rimettere l’università sulla mappa del college basket che conta.
Il resto del dancefloor
Non finisce qui il valzer delle panchine: Steve Alford, dopo l’esperienza poco esaltante con UCLA (4 apparizioni al Torneo Ncaa in cinque anni e una Sweet 16 con roster pieni zeppi di talento sono un po’ poco) e il licenziamento a metà stagione torna nella Mountain West dove aveva fatto tanto bene con New Mexico guidando i Lobos a tre partecipazioni al Torneo Ncaa. Nevada, infatti, con una mossa tutto meno che timida, lo ha messo sotto contratto per ben dieci anni. Sempre nella MWC un programma dal sangue blu come UNLV ha deciso di ripartire da T.J. Otzelberger, il coach capace di guidare South Dakota State per due volte al Torneo in tre anni dimostrando di saper costruire un gioco di squadra oltre il talento di un giocatore come Mike Daum.
Saint Joseph’s dopo il licenziamento di una leggenda delle panchine come Phil Martelli capace di guidare per 24 anni gli Hawks (spicca la stagione 2003/04 chiusa con un record in regular season di 27-0 che gli valse il titolo sia di AP che Naismith COY) ha deciso di continuare con la tradizione di una città che respira basket come Philadelphia affidandosi a Billy Lange. Già assistente a La Salle, Villanova e in ultimo ai 76ers in Nba (dove si occupava di “player development”), incarna in pieno lo spirito cestistico della città dell’amore fraterno e sarà il 15º coach in 110 anni di storia del college.
Alabama, dopo aver salutato Avery Johnson, ha deciso di puntare su un coach giovane e quotato come Nate Oats: l’arterfice del “miracolo” Buffalo con tre partecipazioni alla Big Dance in quattro anni e reduce dalla miglior stagione nella storia dell’ateneo.
Chiudiamo con due cambi nei bassifondi della Pac-12: California e Washington State dopo l’ennesima stagione ai limiti dell’imbarazzante si affideranno rispettivamente a Mark Fox e Kyle Smith. Il primo torna su una panchina dopo un anno d’inattività e porta le sue doti da leader e l’etichetta di “Mr. Correttezza” (membro attivo del Ncaa Rules Committee). Il secondo ha accettato un contratto di sei anni dopo aver guidato San Francisco a più di 20 vittorie stagionali per tre annate consecutive (non succedeva da 37 anni).