Magnifici Sette mid-major
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 9 Gen, 2021

Gli eroi son tutti giovani e belli. Ma soprattutto giocano nelle mid-major. Perché, sì, noi qui scriviamo di squadroni, candidati al POY nazionale e prospetti da Draft reclamizzati sin dalle high school. Però ciò che ci fa battere il cuore col college basketball non sta solo in quello. Anzi, molto spesso si trova in posti radicalmente differenti. Negli angoli di America meno scintillanti. Nelle palestre più sfigate. Fra le squadre più improbabili che poi, magari, fanno sognare un Paese intero nella solita – ma mai, mai noiosa – rappresentazione cestistica di Davide contro Golia alla March Madness.

La galassia esterna alle Power 6 è piena di talenti sottovalutati e personaggi mitologici. Nani, giganti, orchi e folletti. Qui vi presentiamo i sette (più un paio di menzioni d’onore) che, per vari motivi, ci fanno brillare gli occhi più di tutti. I nostri Mid-Major Heroes.

Jason Preston

Ma dove vuole andare quel ragazzino smilzo che pompa il palleggio ad altezza orecchio? Un po’ dove gli pare a lui, a dire il vero. Jason Preston è abituato ad attirare sguardi perplessi, ma questa è acqua passata ormai, così come lo è il suo status di gemma nascosta, visto che la sua prestazione esplosiva (31 punti e 8 assist) nell’upset sfiorato contro Illinois ha fatto girare in lungo e in largo il suo nome e la sua storia, che è da quintessenza dell’underdog.

Orfano di madre. Il padre, semplicemente, non c’è. Un anno da senior in high school – quando superava di poco l’1.80 di altezza e i 60 kg di peso – nel quale produce 2 punti di media. Un torneo AAU giocato per caso. Un anno di prep dove passa dalla squadra “C” alla “A” a suon di prestazioni convincenti. Un mixtape lo-fi autoprodotto che capita sotto gli occhi di Will Ryan, assistant coach di Ohio allora in disperata ricerca di una PG.

Insomma, nel giro di quattro anni scarsi, il pischello roscio buono per il campetto attraversa una crescita costante, sia tecnica che fisica (ora misura circa 193 cm per 85 kg), che oggi ne fa una point guard con legittime aspirazioni NBA. Perché Preston è uno di quegli scorer che gli americani amano chiamare crafty, capace di alzare l’asticella all’interno della partita, di rispondere colpo su colpo alle contromisure avversarie nei modi più originali e inaspettati. Ma è prima di tutto un playmaker generoso, che sa tracciare linee di passaggio complicate con immediatezza e naturalezza. Se lui ci ha sempre creduto, un motivo c’era.

 

P.S. Preston non è l’unico giocatore delle mid-major che potrebbe spuntare al prossimo Draft. Senza stare a elencare i tanti candidati dalle MM conference principali (AAC, A-10, MWC, WCC), vi diciamo di tenere d’occhio Charles Bassey (Western Kentucky), Taevion Kinsey (Marshall), Jalen Pickett (Siena) o anche un dark horse come Ruot Monyyong (Little Rock).

Chandler Vaudrin

Se uno è alto 2 metri e passa la palla come un fenomeno, ci sarà la fila di high-major che lo vogliono reclutare. Di solito sì, ma non sempre. Chandler Vaudrin per esempio si è dovuto pappare due stagioni di D-II prima di salire di livello, con Pat Kelsey – coach scaltro che sa bene quanto ben di dio ci sia al di fuori della D-I – primo fra i suoi colleghi a fiondarsi su di lui. Da Walsh a Winthrop, sempre sotto il segno della “W”: quest’anno ne sta collezionando parecchie e gli Eagles potrebbero persino completare una regular season da imbattuti.

Il ragazzo dell’Ohio ormai non passa più inosservato, anche adesso che ha abbandonato baffo e capello da guascone di altri tempi. Per risaltare, gli bastano e avanzano i numeri che sta mettendo insieme (11.4 punti, 7.4 rimbalzi, 8.6 assist di media quest’anno con due triple doppie in archivio) e il suo modo di far girare un attacco che ama le soluzioni rapide (#2 per Adj. Tempo). Vaudrin non è solo importante: è vitale. Winthrop è la formazione più profonda della D-I (ruota 11 o 12 giocatori in ogni partita) e lui è l’unico sopra i 30 minuti di media in campo – 31.8, col nostro Micheal Anumba distante secondo (22.4).

Transizioni direttamente dal rimbalzo, skip pass a una mano da cecchino, angoli strettissimi imbeccati dal pick and roll, zingarate in area con scarichi perfetti, passaggi dietro la schiena: pensate a un modo in cui si possa dar via la palla e il buon Chandler ce l’ha pronto in tasca.

 

Terry Taylor

Da un playmaker sovradimensionato passiamo a un lungo undersized. Ma parecchio under. Oddio, il termine “lungo” si addice il giusto a Terry Taylor, ma fatto sta che ad Austin Peay gioca prettamente intorno all’area (da 4 ma spesso anche da 5), facendo scorpacciate di punti e rimbalzi dall’alto – cioè, dal basso – dei suoi 196 cm di statura. E sono due anni di fila che viaggia in doppia doppia di media (mentre scriviamo, 21.2 punti e 10.9 rimbalzi in 43 gare giocate fra l’anno da junior e questo da senior).

Anche lui è stato abbastanza snobbato in uscita dalla high school. E qualcuno adesso si starà mangiando le mani. Taylor è verticale, tosto, impossibile da spostare. Un concentrato di energia. In post basso può dominare prendendo posizione in profondità, ma anche i suoi uno-contro-uno frontali partendo dalla linea dei tre punti possono essere difficili da contenere. A rimbalzo, poi, è un incubo: sempre attivo sotto entrambi i tabelloni, ma è soprattutto sotto quelli avversari che fa sconquassi. Che sia già là sotto o che debba partire da lontano, poco importa perché il film è sempre lo stesso: aggira i tagliafuori, sale in un amen, afferra la palla con gli artigli e la butta dentro. Un giocatore che adoriamo perché la potenza dei suoi muscoli è seconda solo alla grandezza del cuore che butta in campo.

 

Darnell Rogers

In tema di gente sottotaglia, che dire di Darnell Rogers e i suoi 157 cm d’altezza? Sì, avete capito bene, non è un errore di battitura. Centocinquantasette. Da papà Shawnta – dieci stagioni fra Francia, Belgio e Italia con puntate a Cantù, Castelletto Ticino, Montecatini – non poteva ereditare chissà quale statura (163 cm), ma il talento per la pallacanestro, quello sì. Le dimensioni non contano, verrebbe da dire. E invece sì, contano, ma in un altro senso.

Come spiega Ryan Odom, coach di UMBC, gli avversari semplicemente non sanno come approcciare uno di quella taglia, bassissimo ma compatto e che gioca senza paura (in high school faceva anche il running back), scorrazza da una parte all’altra del parquet, sfianca il ball handler avversario, ruba palloni come se fosse appena passato Flash, sbuca dal nulla per prendere un rimbalzo (contro Delaware ne ha strappati 8) ma non disdegna nemmeno un tagliafuori (!) e fa partire triple da distanza NBA (ha il 43.2% in stagione su 4.9 tentativi). Insomma, se lo devi incontrare, è solo in partita che puoi farti un’idea su come prendergli le misure. Ma spesso, quando te la fai, è già troppo tardi.

 

Ahsan Asadullah

Oggi come ieri, la Battle of the Boulevard (forse la più grande tra le piccole rivalità mid-major) offre sempre personaggi fantastici sia in campo che in panchina (pensiamo al buon Rick Byrd e i suoi schemi leggendari). Per questo articolo, avremmo potuto parlarvi di Luke Smith e di come sia arrivato dalla Division III per guidare l’attacco di Belmont a suon di triple, ma infine abbiamo scelto l’altra sponda del viale con Lipscomb, perché lì gioca il migliore di tutta la A-Sun: Ahsan Asadullah, lungo di 203 cm per 120 kg.

Se pensate al solito ragazzone extralarge ed extrascarso da piani bassi, di quelli che stanno lì giusto per bullizzare avversari più piccoli finché il (poco) fiato li regge, vi sbagliate di grosso. Per carità, il gioco in post basso è una parte sostanziosa del suo repertorio, dove fa valere fisico, abilità nel muovere i piedi e gran tocco con entrambe le mani. Non fa mancare punti (18.6 l’anno scorso, prodotti soprattutto al ferro) e rimbalzi (10.1 sempre da sophomore), però Ahsan è anche una versione in salsa mid – e per questo, strepitosa – di point center.

In una squadra in cui c’è grossa enfasi sulla circolazione di palla, lui fa la parte del leone (#31 l’anno scorso per Assist Rate, unico della sua statura fra i primi 50). Passaggi a una mano, a due mani sopra la testa, ribaltamenti, letture sui tagli: lui è sempre attento e, anche se sembra più un linebacker, può anche tirar fuori degli outlet pass degni di un quarterback.

Con lui, le sorprese sono sempre dietro l’angolo. In una delle ultime partite, per esempio, ha deciso di travestirsi da esterno, mettere palla a terra dalla linea dei tre punti e farsi beffe del suo uomo con un crossover. Aiuto.

 

Storm Murphy

Fisico da ragioniere, nome da eroe dei fumetti, numeri da White Chocolate. In tre anni di college, Storm Murphy si è tolto soddisfazioni che i più possono solo sognare. Lui c’era quando Wofford piazzò uno storico upset in casa di North Carolina. C’era anche l’anno dopo, quando i Terriers dominarono la SoCon (18-0) e poi, alla March Madness, fecero le scarpe a Seton Hall e diedero battaglia a Kentucky.

Non solo c’era, ma era anche protagonista in tutte quelle tappe, fra canestri clutch e giochi di prestigio ai danni degli avversari. Biondino alto 1.80 scarsi, Murphy non è di certo uno di quelli che impressiona a un primissimo sguardo. Ma mai giudicare un libro dalla copertina. Perché lui gioca con un equilibrio raro, in alternanza continua fra ordine e caos, disciplina e fantasia. Ha la generosità del playmaker e la ferocia sportiva della star.

Nella scorsa stagione, la prima senza Mike Young in panchina, è stato limitato da guai fisici e non è riuscito a dare tutto. La Southern quest’anno sarà tosta, ma non sottovalutate la voglia di riemergere d’un veterano all’ultimo valzer. Intanto i ventelli messi a segno quest’anno sono quattro, con tanto di doppia doppia punti-assist contro Samford (23+11). Occhio.

 

Cameron Krutwig

Esteticamente, è arrivato paffuto e sbarbato (sembrava Palla di Lardo da Full Metal Jacket) mentre ora sta per lasciare il college con un discutibile paio di baffi. In mezzo, comunque, ne sono successe di cose assai più importanti. Con Cameron Krutwig è stato amore a prima vista, sin da quell’upset in casa di Florida che già ci faceva presagire che fosse un giocatore speciale in una squadra speciale. Lui e quella Loyola poi riuscirono a compiere una delle più belle cavalcate mai viste al Torneo Ncaa. E fu l’ultimo ad alzare bandiera bianca alla fine.

Già questo basterebbe ad eleggerlo a Leggenda delle Mid-Major. Il ragazzone dell’Illinois però ci tiene a chiudere col botto. Scorrendo la classifica del POY di KenPom adesso, lo troviamo alla #10. Il che dice qualcosa su quanto sappia essere dominante (16.8 punti, 6.5 rimbalzi, 2.3 assist, 1.4 stoppate fin qui quest’anno) e sul credito di cui i Ramblers possono godere.

Lui che s’ispirava a Larry Bird e che la palla l’ha sempre data via divinamente (32.3 di Assist Rate l’anno scorso), ora è uno scorer navigato che punge in area finalmente usando bene anche la mano debole, la destra. E che conosce tutti i trucchi del mestiere per rispondere a ogni contromisura avversaria. Nella Missouri Valley, rischia di essere immarcabile.

A Loyola non ci sono più da un pezzo Donte Ingram, Ben Richardson e il suo amico per la pelle Clayton Custer (perlomeno in campo, perché quest’ultimo è ora nello staff tecnico della squadra), ma sono rimasti Porter Moser con le sue idee chiare, Sister Jean con le sue 101 candeline e, soprattutto, il buon Cameron. Basta per tornare a sognare.

Menzione d’onore #1 – Il Maestro di Stile

Squadra: Loyola Marymount. Nazionalità: australiana. Segni particolari: tutto. Keli Leaupepe è un bravo lungo dalla taglia anomala che ha fatto molto bene al suo primo anno Ncaa. È alto 198 cm e pesa ben 112 kg: in pratica è un bulldog sia nell’aspetto che per comportamento in campo – tra l’altro, è stato introdotto al basket con un DVD di Charles Barkley – ma che non disdegna allargarsi per piazzare qualche tripla (37.9% nella scorsa stagione).

Però, soprattutto, è bellissimo. Il suo mullet da antologia ha fatto onde sui social durante le prime giornate di questa stagione e, ad aggiungere ulteriore carisma a questo quadretto già straordinario, ci sono i suoi gusti culinari raffinati. Cibo preferito: pollo fritto. Cibo sgradito: nessuno. Dategli qualcosa e lui se la mangia. Avversari compresi.

Menzione d’onore #2 – La Squadra di Culto

Viene da una conference sgangheratissima, difende alla morte su ogni possesso e il suo roster è un ensemble esteticamente così variopinto da fare invidia ai Village People. Ve lo diciamo già adesso: Abilene Christian è la squadra che vi ruberà il cuore a marzo.

La formazione di Joe Golding è solo all’ottava stagione in D-I e quest’anno può tornare alla March Madness dopo il viaggetto compiuto nel 2019. Quella volta prese la classica sveglia impietosa al primo turno (-35 da Kentucky) ma stavolta la storia potrebbe essere diversa. I Wildcats, grazie a una full court press commovente, hanno una delle migliori retroguardie del panorama mid-major: #59 per Adj. Defensive, #2 per TO% avversario, #5 per percentuali da tre subite. E hanno dimostrato di poter tenere testa a squadre di alto livello (-7 in casa di Texas Tech).

Già basterebbe per adorarli. Ma guardiamoli più da vicino. Oltre all’immancabile lungo più largo che alto (Airion Simmons, 196 cm per 120 kg) c’è anche – cosa rarissima per le mid di basso rango – un sevenfooter di quasi 110 kg che si chiama Kolton Kohl. Non una ma due kappa. Con un nome così, o sei un personaggio di Star Trek o il lungo di una mid-major che odora di leggenda. Nel reparto guardie ci sono tre giocatori che superano di poco l’1.80 d’altezza (tra cui Coryon Mason, il leading scorer) più Damien Daniels, scricciolo di 170 cm per 63 kg che però azzanna gli avversari più di tutti ed è secondo in squadra per palle rubate. Infine, non possiamo farci mancare il solito specialista da tre: Clay Gayman (sic) col suo 47.4% dall’arco. Dai, forza, provate a non tifarli.

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