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La vita da scorer di Dallas Moore

Autore: Isabella Agostinelli
Data: 26 Gen, 2018

Negli anni di college ha aiutato North Florida a tagliare dei traguardi storici e ha letteralmente dominato la Atlantic Sun Conference a suon di punti e di premi. Nella sua prima stagione in Italia sta scalando la classifica dei marcatori e ora è al secondo posto con 19.4 di media a partita. Ed è a lui che i compagni affidano i palloni più ‘caldi’, a Pesaro così come facevano gli Ospreys al college. Abbiamo incontrato Dallas Moore, che sogna ancora la Nba, ma testa e cuore sono ora tutti rivolti a questa stagione con la VL.

Iniziamo con l’incredibile stagione 2014-2015 quando North Florida vince la conference e per la prima volta nella sua storia entra nel torneo Ncaa. Quel traguardo ha suscitato molto entusiasmo, anche se al torneo vi siete fermati subito. Cosa è successo in quella partita contro Robert Morris?
Quella stagione è stata incredibile. All’inizio non riuscivamo davvero a trovare un’alchimia nel nostro gruppo e abbiamo iniziato molto male perdendo varie partite. Poi qualcosa è scattato e abbiamo iniziato a giocare bene. Nelle partite di conference eravamo incredibili: era come se non riuscissimo a perdere! Non potrò mai dimenticare la finale di conference che ci ha regalato la vittoria della ASUN: a fine partita i nostri fan hanno invaso il campo ed è stato un momento fantastico. Ho anche una fotografia di quella partita! Ma quella partita di primo turno Ncaa contro Robert Morris…perdere è stato davvero un brutto colpo. Eravamo avanti di 14 punti e quando pensavamo di avere ormai la vittoria in pugno, loro sono riusciti a girare la partita e a vincere (81-77). Senza dubbio è il momento che mi ha spezzato maggiormente il cuore.

Qualche rammarico?
Vorrei aver preso e messo più tiri (risponde con un sorriso amaro). Mi dispiace non essere stato me stesso per tutta la partita, soprattutto per i senior: abbiamo lavorato tanto per raggiungere quel risultato e la partita semplicemente ci è scivolata via dalle mani.

 

Nonostante quella partita non proprio al massimo, però, hai letteralmente dominato la tua conference: ASUN freshman of the year e poi per due anni consecutivi, nel 2016 e 2017, ASUN player of the year. Qual è il tuo ricordo più bello di una carriera chiusa con 2437 punti, secondo miglior marcatore di ogni epoca della conference?
Nell’ultimo match del mio senior year, non ho pianto. Lo so, può sembrare strano, ma molti ragazzi lo fanno dato che lo sentono come una fine. Invece io sapevo che grandi cose sarebbero successe per me dopo quello che avevo fatto nel college e, soprattutto, ero consapevole di aver dato tutto me stesso in campo e quindi non c’era nulla di cui essere tristi.

Qual è stato l’anno più bello?
Penso che il mio junior year sia stato quello più bello, anche se non abbiamo vinto il titolo di conference e non siamo arrivati fino al torneo Ncaa. Ho sicuramente giocato il mio miglior basket, se ricordo bene viaggiavo a 20 punti, 6 assist e 4 rimbalzi di media. Ma sono riuscito anche a giocare per la squadra e a coinvolgere al massimo anche i miei compagni, il che per me è un grande risultato.

Senza contare che avete battuto anche Purdue per 73-70, la prima vittoria di UNF su una squadra della Big Ten. Ricordi quella partita?
Poi abbiamo battuto anche Illinois (con 28 punti, 10 assist e 0 palle perse) quindi ho finito la carriera battendo due squadre della Big Ten, ma quella con Purdue è stata sicuramente la partita più memorabile. Siamo stati sotto per la maggior parte della partita, ma poi abbiamo reagito: prima abbiamo pareggiato e, dopo averli superati, siamo rimasti in controllo della partita fino alla fine. Quando la sirena è suonata, ci siamo messi a saltare su e giù per il campo (dice ridendo). Eravamo in casa loro e ricordo che mentre noi festeggiavamo, tutto il pubblico era letteralmente ammutolito. Era una situazione decisamente divertente, come puoi immaginare!

Moore in azione contro Purdue

Cosa hai imparato da coach Matthew Driscoll, più volte nominato coach dell’anno della ASUN? Puoi raccontarci qualche aneddoto o consiglio che ti ha dato?
Di coach D. non posso che parlare bene. Ciò che gli devo maggiormente sono i suoi insegnamenti sulla difesa. Io sono un giocatore di attacco e lì non ho problemi, ma in difesa tutto quello che ho imparato lo devo a lui. I suoi consigli mi hanno aiutato ad arrivare dove sono ora e spero che mi aiutino anche a migliorare.

Moore con coach Driscoll

Durante la scorsa estate hai preso parte alla Summer League con i Denver Nuggets e avevi comunque suscitato l’interesse di squadre come Oklahoma, Milwaukee e Brooklyn. Come è maturata la decisione di lasciare la strada Nba e venire a giocare in Italia?
Durante la Summer League con Denver non avevo trovato molto spazio. E’ stata comunque un’esperienza davvero intensa e gratificante: non posso che ringraziare i Nuggets per avermi dato questa possibilità. Nelle ultime due partite ho anche giocato molto bene ed è lì che il mio agente ha ricevuto la proposta di Pesaro. Io sentivo il bisogno di avere più spazio e il mio agente mi ha detto che a Pesaro avrei trovato una situazione interessante, dove avrei avuto anche un ruolo importante. E così eccomi qui, contento della decisione che ho preso. Ho abbracciato in tutto e per tutto il progetto della VL e sto dando tutto me stesso partita dopo partita.

In un’intervista ad ottobre hai detto che l’Nba rimane il tuo sogno. Pensi di ritornare in Usa o valuterai anche la possibilità di rimanere in Italia e/o Europa? Cosa ti piace del basket italiano e cosa invece rimpiangi un po’ di quello statunitense?
Come per ogni giocatore, la Nba è un sogno sempre presente. Ma la stagione qui non è ancora finita e quindi al momento non sto pensando ad altro.
(Nel frattempo ha già mandato tutta la documentazione per ottenere il passaporto albanese, decisione supportata anche da coach Leka che potrebbe diventare il prossimo allenatore della nazionale dell’Albania)

 

Sei in Italia da agosto e quindi ci puoi parlare delle differenze tra il basket qui nel nostro Paese e negli States a livello di college, il tipo di allenamenti, la gestione del tempo…
Molto diverso! Anche se la gestione dei tempi è molto simile dato che ci alleniamo e giochiamo quasi con gli stessi orari che in America, ma a livello di gioco qui è molto più dura! Non c’è da stupirsi, qui si scende in campo contro uomini (e sottolinea la parola) di 30 anni, al college te la vedevi con ragazzi di 23 anni. Nel nostro gioco l’età ha sicuramente un valore importante. E poi qui parliamo di professionisti che fanno del basket il loro lavoro.

Ma anche in Ncaa viene richiesto un grado di professionalità molto alto.
Sì, è vero. Il basketball a livello di college ha molti aspetti simili a livello di richieste con il basket professionistico qui in Italia. Lavoriamo molto sugli scouting report sia a livello personale che a livello di squadra e viene richiesto di saper gestire al meglio il proprio tempo tra allenamenti e viaggi per esempio, o tra la la palestra e la scuola. Da questo punto di vista sono molto esigenti.

La partenza di Zak Irvin dimostra come non sempre il passaggio dagli Usa all’Italia è facile per dei giovani giocatori. Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate? 
Bé, l’aggiustamento a livello fisico sicuramente è quello più duro. Qui non si ha molto spazio per le giocate one-to-one come in America: qui si dà più importanza alla squadra e penso che questo sia l’elemento su cui noi giocatori americani facciamo più fatica ad adattarci. Poi, per esempio, ci sono altre differenze come la maniera di viaggiare per le partite. Negli Stati Uniti siamo abituati a mezzi diversi e a tempi diversi e non è sempre facile adattarsi.

 

Coach Leka non ti toglie praticamente mai dal campo visto che giochi in media 36.4 minuti a gara e sei il secondo marcatore del campionato. Cosa ti chiede in particolare e su cosa hai dovuto lavorare maggiormente per inserirti meglio negli schemi ma anche nel gioco italiano?
Sì, sto facendo davvero bene a livello offensivo. Ma come guardia, devo migliorare nella comunicazione. Qui in Italia le partite sono molto rumorose e quindi devo imparare a comunicare in maniera più efficace con i miei compagni durante le azioni. Anche perché nei momenti importanti è me che cercano. E poi come ho detto prima, a me piace giocare molti palloni, ma qui in Italia è essenziale rendere partecipe tutta la squadra nell’azione. Sto lavorando sodo su questo aspetto.

Segui ancora l’Ncaa? Chi è il giocatore che ti sta impressionando maggiormente in questa stagione?
Seguo la mia squadra naturalmente e al momento stanno anche facendo bene. Ho poi amici che giocano in altre squadre come Kansas e Miami e quindi sto seguendo anche loro. Tuttavia, il giocatore che mi sta sorprendendo maggiormente è Trae Young. Quello che sta facendo in termini di punti e di gioco è sorprendente…ed è un freshman. Quindi, anche se avrà qualche difficoltà tipica per i freshman, potrà crescere ancora di più. Sta giocando con una media di 30 punti a partita: è sensazionale! Non posso che fargli i miei complimenti.

Ho letto che hai iniziato giocando a calcio e ti trovi in un paese dove è lo sport più popolare. Anche se Pesaro è una città un po’ atipica dove si vive di basket, hai avuto modo di vedere qualche partita?
Sì, ero molto piccolo quando ho iniziato a giocare a calcio e la passione mi è rimasta! Lo so che qui a Pesaro il calcio non è molto popolare ma io spero di riuscire a vedere una partita della Juventus. È la mia squadra preferita e io adoro il calcio!

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