Duke, Virginia e North Carolina sono appaiate in classifica (12-2) e hanno praticamente la stessa percentuale di possibilità di vincere l’ACC. Lo scatto decisivo sembra lo abbiano fatto i Tar Heels usciti vittoriosi con i Blue Devils e, se le ultime partite di regular season non dovessero riservarci delle sorprese, potrebbe essere proprio il derby di ritorno a sancire la squadra vincente. A proposito di sorprese, Florida State non può più essere definita tale visto che ormai da anni compete sempre per le posizioni più alte.
Programma basato sul sistema, non i singoli!
Lo scorso anno i Seminoles, pur perdendo il trio composto da Jonathan Isaac, Dwayne Bacon e Xavier Rathan-Mays – che produceva il 47% dei punti – sono arrivati alle Elite Eight. Quest’anno con zero reclutamento e qualche addio comunque importante (su tutti l’all-around Braian Angola), sono ancora lì tra le prime della competitiva ACC. Un caso? Niente affatto, è la capacità di coach Leonard Hamilton nel riuscire a valorizzare tutti i giocatori che ha a disposizione. Non a caso FSU ha avuto nove differenti top-scorer in partite singole, e conta undici atleti con almeno 9′ di gioco. In questo sistema quasi perfetto, tutti sono necessari ma nessuno è indispensabile.
Una scommessa diventata certezza
Nonostante l’ottima apparizione al torneo, Florida State ha iniziato la stagione come possibile scommessa. All’esordio ha stravinto il derby con i Florida Gators, poi ha superato buone squadre come LSU, Purdue e UConn ed è andata vicina a battere Villanova. Con il record di 12-1 è entrata nel ranking top 25, e da scommessa è diventata certezza. Qualche perplessità si è avuta all’inizio della conference con una vittoria in cinque partite, contro avversarie non proprio irresistibili come Pittsburgh e Boston College. Poi ha inanellato una striscia di otto successi interrotta solo sabato contro North Carolina.
Mfiondu Kabengele, la sorpresa
Alzi la mano chi aveva sentito parlare di Mfiondu Kabengele prima di questa stagione. Certo, non era uno sventola asciugamani, ma il lungo lo scorso anno non aveva avuto l’impatto che sta avendo ora. È stato già otto volte top-scorer della squadra, e sta viaggiando a 13.4 punti, 5.6 rimbalzi, 1.2 stoppate in appena 20.2 minuti. Spalmate sui 40 minuti, queste cifre assumono tutto un altro significato. Proprio perché esce sempre dalla panchina è tra i migliori “sesto uomo” dell’intero college basket. Grintoso, energico, poco loquace ma molto pratico, non si può non innamorarsi di lui vedendolo giocare. Potrebbe avere ancora margini di miglioramento, ed è stato già in qualche occasione decisivo – vedi con LSU -. E poi, da buon nipote del mitico Dikembe Mutombo, si è tolto la soddisfazione di stoppare addirittura Zion Williamson.
FSU, una squadra polivalente
Florida State è una squadra che ha centimetri vicino al canestro e pericolosità sul perimetro, per questo ad ogni gara cambia spesso il protagonista. Il leader silenzioso è Terence Mann, ala tuttofare che si fa apprezzare più per l’intensità difensiva che per le capacità offensive, e non a caso è il miglior rimbalzista (6.5) e il secondo marcatore (11.7 col 46% da 3). Poi ci sono una serie di bocche da fuoco che quando entrano in ritmo non li fermi più. Parliamo soprattutto degli esterni Trent Forrest (9.1 punti) che sa anche creare per gli altri (3.9 assist), e di M.J. Walker (7.9 punti). Sotto canestro giganteggia Christ Koumadje (6.8 punti, 5.8 rimbalzi e 1.6 stoppate) che però spesso non usa a dovere i suoi 224 cm.
Una menzione a parte merita Phil Cofer, forse il vero go-to-guy dei Seminoles che ha saltato la prima parte di stagione per infortunio. Dal suo rientro ha fatto vedere di non aver perso confidenza con palla e canestro (7.8 punti col 38.9% da 3), ma sembra stia giocando con il freno a mano tirato. Se tornerà quello visto nella cavalcata dello scorso torneo, FSU sarà ancora più pericolosa.