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Lo strano caso delle scarpe che esplodono

Autore: Claudio Pavesi
Data: 1 Mar, 2019

Una settimana difficile per i brand di abbigliamento sportivo. Nike ha conquistato le copertine con l’esplosione della scarpa di Zion Williamson ma, pochi giorni dopo, anche una scarpa Adidas è esplosa, precisamente quella di Justin Smith di Indiana. Perché? Ciò a cosa porta?

Di chi è la colpa?

Scarpe o giocatori, di chi è la colpa? I brand fanno le scarpe in maniera peggiore rispetto al passato? Non generalizzare e non fare i nostalgici sono presupposti fondamentali. Analizziamo i due casi.

Zion Williamson è un armadio in bronzo mascherato da uomo, il cui peso è superiore a quello di DeMarcus Cousins, motivo per cui una scarpa low cut come la Nike PG 2.5 può non dare il necessario supporto, non tanto sulla caviglia, giustamente protetta, ma nello spostamento del peso che in questo caso è straordinario.

 

La Nike PG 2.5 è una scarpa di basso livello? No. Semplicemente Zion non è come gli altri: i movimenti che fa non sono normali, la potenza con cui si muove non è normale. Ne sa qualcosa anche il pallone.

Il materiale a cui si deve affidare, quindi, non può essere normale. Forse una scarpa Nike con maggiore supporto come la LeBron 16 o una Kyrie 4 o 5 (due dei modelli più utilizzati da Williamson) avrebbero fatto meglio.

Justin Smith è fisicamente normale, sfiora i cento chili e non è nulla di particolare per il mondo della pallacanestro nonostante la sua impressionante esplosività: Smith è infatti il detentore del record di Indiana per l’elevazione da fermo con 122 centimetri, pari al record del NBA Combine. La sua Adidas Harden vol.3 ha subito un danno simile a quello di Zion e, per quanto l’esplosività e la potenza di spostamento di Smith sia sopra la media, quasi certamente un cambiamento di scarpa a una più strutturata come una Marquee Boost non avrebbe comunque cambiato la situazione.

Ci sono quindi scarpe più adatte a certi giocatori in base al fisico e ci sono malfunzionamenti. Le scarpe fallate esistono, a volte si vedono subito, altre volte no trattandosi di cuciture interne. E si tratta poi di scarpe personalizzate. Le calzature utilizzate dai giocatori di college non sono create con le tipologie di produzione e la cura con cui vengono creati i modelli PE (Players Edition), altrimenti i costi sarebbero insostenibili. Si tratta di modelli Nike iD o MyAdidas, e vengono personalizzati nei modi con cui chiunque può farlo nei rispettivi siti dedicati (con l’aggiunta di loghi squadra che i normali acquirenti non possono usare), ma è evidente che la tipologia di creazione sia qualitativamente più bassa rispetto alle altre, come da dichiarazione degli stessi brand.

Un tempo e un luogo

La vera differenza tra questi due incidenti sta nel momento in cui sono andati in scena. Il danno di Zion si è verificato all’inizio della partita contro North Carolina, davanti a Barack Obama e a un pubblico che ha pagato più che al Super Bowl per vedere due squadre sponsorizzate Nike e Jordan dalle scarpe ai capelli. Praticamente il presepe vivente del basket collegiale, anche dal punto di vista commerciale. Inoltre ha provocato un leggero infortunio, che in realtà poteva potenzialmente essere molto più grande. Inevitabile il dibattito sui rischi dei giocatori collegiali, sulla mancanza di stipendi, sulle cifre che le università ricevono dai brand per vestire i giocatori con prodotti che in qualche caso si rivelano non adatti e non al livello qualitativo richiesto. Anche perchè Duke ha un contratto estremamente remunerativo di dodici anni con Nike.

Di tutta risposta basta utilizzare Google per vedere che nelle prime pagine di immagini relative a Zion Williamson ormai una buona metà fa relazione allo shoe-gate. Il danno è stato tale che Paul George ha ricevuto migliaia di tweet di critiche per via del fatto che la scarpa danneggiata fosse a suo nome (PG sta appunto per Paul George, la sia signature line), come se fosse lui a farle con la sua macchina da cucire personale. Come se non bastasse, le azioni di Nike sono crollate di oltre un punto in pochi giorni, momento più basso del mese.

Il crollo del titolo Nike

Il caso di Justin Smith contro Wisconsin? Molto diverso. Nessuna diretta TV nazionale, nessuna potenziale prima scelta assoluta al Draft, nessun ex presidente degli Stati Uniti sugli spalti. Praticamente nessuno ne ha parlato e non si trovano nemmeno video del momento della rottura della scarpa. Harden non ha ricevuto alcun tweet di odio e Adidas non ha avuto particolari ricadute sul mercato azionario.

L’andamento del titolo Adidas

Alla fine chi vince?

Non c’è paragone, tutti stanno parlando di Nike e di quanto è successo, Adidas resta una virgola nel mondo del basket al paragone. Il marchio dello Swoosh sta confermando il detto secondo cui ogni pubblicità è buona pubblicità e avrà per le mani una più che discreta narrativa quando, se tutto dovesse andare secondo i piani, firmeranno Zion nel proprio roster e costruiranno la sua signature line con scarpa dedicata, così come hanno fatto e stanno facendo con LeBron James, Kobe Bryant, Kyrie Irving, Kevin Durant, Paul George e faranno con Giannis Antetokounmpo. Dalla sconfitta alla vittoria, una parabola che piace sempre molto all’America. Resta però da vedere a che prezzo.

In sostanza Nike ha fatto un danno più visibile rispetto a quello di Adidas per via del contesto, ma quasi certamente alla lunga potrà uscirne meglio. E’ infatti un danno che ha avuto un maggiore impatto momentaneo, ma che potrebbe poi capitalizzare in futuro e confermarsi comunque leader assoluta del mercato. Certo, dovranno gestire la situazione una volta che Williamson lascerà Duke per la NBA, il che tradotto significa coprirlo di soldi.

Sempre che non esplodano altre scarpe, perchè quello sì potrebbe portare cambiamenti nei settori Nike iD e MyAdidas. E la March Madness è alle porte: durante il torneo, è proprio meglio non sbagliare.

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