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Commissione Rice, nuovi scenari e nodi irrisolti

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 26 Apr, 2018

Dopo la sequenza di scandali che ha investito il college basket, c’era grandissima attesa per la fine dei lavori della Commission On College Basketball presieduta da Condoleezza Rice. Dopo sei mesi di lavoro, i 14 membri della Commissione hanno compilato un report di 53 pagine, esposto e sintetizzato in una conferenza stampa di circa venti minuti. Non sono mancate proposte sensate e che potrebbero cambiare in meglio alcuni orizzonti futuri; d’altro canto, alcune questioni fondamentali sono state sostanzialmente dribblate e, nel complesso, è difficile non avvertire un senso di incompiutezza nel quadro presentato. Perchè, alla fine, il problema principale e la causa di scandali e corruzione sono i soldi e su questo tema la Commissione Rice ha di fatto alzato le mani, senza proporre nulla.

Basta coi one-and-done

Il primo punto enunciato fa riferimento alla necessità di sbarazzarsi della regola dei one-and-done che, come si legge nel rapporto, “ha giocato un ruolo significativo nel corrompere e destabilizzare la pallacanestro universitaria, limitando la libertà di scelta dei giocatori e indebolendo il rapporto fra college basket e missione educativa”. La Commissione, inoltre, sconsiglia l’adozione del “sistema-baseball” (cioè un numero minimo di anni da passare al college) se non come soluzione-tampone, insieme all’ineleggibilità dei freshmen, da adottare in caso di mancata riforma della regola da parte della NBA.

Il superamento della norma rappresenterebbe un primo e necessario passo verso uno scenario generale migliore, non c’è dubbio, ma l’enfasi posta dalla Commissione su questo argomento lascia perplessi, dando la netta impressione di volerne fare la madre di tutti i casi di corruzione, fenomeno che invece tocca tanti aspetti diversi e più direttamente legati al college basket, o meglio, col giro d’affari a esso legato, e che è iniziato ben prima che l’Nba fissasse nel 2005 il limite di 19 anni per entrare nel draft.

Inoltre, da subito, si devia da quel che dovrebbe essere la missione principale dei 14 – cioè avanzare proposte alla Ncaa – volgendo lo sguardo altrove, verso la NBA, ovvero il soggetto che ha potere decisionale su questa materia – che, tra l’altro, non dovrebbe subire modifiche prima del 2020.

Citare la necessità di andare oltre la regola dei one-and-done era d’obbligo, ma farne il punto centrale del discorso – e farlo in questi termini – appare un po’ fuorviante.

Più libertà per gli undrafted

Una proposta interessante riguarda i giocatori che si candidano al Draft senza poi essere scelti: per la Commissione, questi dovrebbero essere liberi di tornare al college (ma esclusivamente a quello di “partenza”, senza possibilità di transfer). La proposta merita un plauso, dato che va ad allargare la libertà di scelta degli atleti, ma la sua applicazione rischia di non essere indolore, andando a modificare sensibilmente ritmi, equilibri e margini di manovra nel reclutamento d’inizio off-season di tante università.

Rapporti con gli agenti

La Commissione ritiene che si debbano sviluppare standard alti per quanto riguarda la certificazione degli agenti e che questi ultimi debbano avere la possibilità di legarsi agli atleti sin dall’high school (senza specificare da quale età e lasciando totalmente questo particolare alla discrezione della Ncaa). Il tutto senza mancare di enunciare le conseguenze per i trasgressori: “un agente colpevole di violare le regole Ncaa deve perdere la propria certificazione. Uno studente-atleta che si accorda […] con un agente non certificato deve perdere la propria eleggibilità”.

E’ questa una delle novità principali del report, che in questo caso affronta un problema emerso chiaramente anche nell’ultima indagine dell’Fbi e indica una soluzione da affidare a un nuovo vicepresidente dell’Ncaa che abbia un’apposita delega per regolare gli agenti.

Pene più severe

Quella della violazione delle regole da parte delle università è un’altra delle questioni più interessanti affrontate dalla Commissione, la quale suggerisce un inasprimento delle sanzioni, auspicando la creazione di un organo esterno e indipendente dall’Ncaa che si occupi dei casi più gravi, in modo da risparmiare risorse e velocizzare i tempi.

Per le violazioni di Livello 1, la Commissione suggerisce penalità che arrivano fino a 5 anni di esclusione dalla postseason, un incremento delle pene pecuniarie e ban superiori a un anno per gli allenatori coinvolti.

Il mondo AAU

Secondo la Commissione, la Ncaa, la NBA e USA Basketball dovrebbero inserirsi – o meglio, imporsi – nello “spazio ingovernato” dei tornei non-scolastici che, a ogni primavera ed estate, fanno da vetrina per i prospetti delle high school. Un arcipelago enorme, difficilmente riconducibile sotto l’egida di un solo organismo e che, oggi, è sostanzialmente in mano ad Adidas, Nike e Under Armour, compagnie alle quali la Commissione chiede di operare con maggiore trasparenza.

Improbabile però che le 3 principali marche di abbigliamento sportivo vengano incontro alla richiesta di mostrare i loro conti e difficile capire anche l’utilità di tale richiesta, visto che non finiscono certo nei loro bilanci o nei loro budget per gli eventi tutte le somme destinate eventualmente a corrompere coach o famiglie dei giocatori.

Il dilettantismo come cardine irrinunciabile

E’ sui soldi, e cioè sulla possibilità che i giocatori potessero avere qualche forma di introito, che la Commissione ha proprio deciso di non decidere, attirandosi più di una critica. Era ampiamente preventivabile che l’ipotesi “stipendio” agli studenti-atleti fosse esclusa a priori, mentre invece potevano essere più realistiche e auspicabili delle proposte riguardo la possibilità di sfruttamento pubblicitario della loro immagine. Così non è stato: la Commissione non ha valutato alcuna opportunità di guadagno per i giocatori del college basket e, infatti, ha da subito messo le cose in chiaro, affermando che il suo obiettivo fosse di “rafforzare il modello universitario, non di avanzare verso uno che inserisse aspetti del professionismo”.

Per quanto riguarda i cosiddetti NIL rights, cioè i diritti di immagine legati a name, image e likeness, Condoleezza Rice ha chiarito che sul tema sono in corso cause legali che coinvolgono direttamente l’Ncaa e, quindi, finchè il quadro normativo non sarà chiaro, era impossibile per la Commissione dare ora indicazioni precise. L’ex segretario di Stato si è detta poi “personalmente” favorevole perchè un generico “qualcosa venga fatto” in futuro, ma la sostanza è che sul tema relativo agli introiti per i giocatori non si è sentito nulla di diverso dalle solite considerazioni sul modello dilettantistico del college basket.

Questo è in sostanza ciò che fa la differenza fra un’opera di rimodellamento e una di rifondazione. La Commissione ha peccato in maniera decisiva nel voler individuare le radici dei mali della pallacanestro universitaria più al suo esterno (one-and-done, shoe companies, agenti, tornei non scolastici) che al suo interno, puntando tutto su una riforma del draft che solo l’Nba, e non l’Ncaa, può attuare. Inasprire le pene per chi viola le regole è qualcosa, certo. Pensare però di eliminare la corruzione solo attraverso la repressione, o la presunta bacchetta magica dell’addio ai one-and-done, sta a metà fra la cecità e la malafede.

Anche con pene più severe e col ritorno al modello di eleggibilità Nba precedente al 2005, ci saranno ancora atleti nel college basket che avranno legittime aspirazioni di guadagno in un sistema che fa fruttare milioni di dollari alle università senza che a loro venga in tasca un centesimo. E ci sarà sempre qualcuno che, sottobanco e per il proprio tornaconto, sarà pronto a esaudire questo loro desiderio. Finchè non si interviene davvero su questo tema, non ci sarà Commissione che potrà risolvere i problemi dell’Ncaa.

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