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UCLA mostra i denti, Brandon Miller la sua classe

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 19 Dic, 2022

La Week 6 ci ha regalato tante belle cose, a partire da una UCLA spaventosa in difesa e una prestazione memorabile di Brandon Miller nello spettacolare match tra Alabama e Gonzaga. Le nostre pagelle.

 

UCLA. Non è la prima versione vincente targata Cronin che abbiamo davanti ma è quella che somiglia di più a ciò che immaginavamo quando il coach era stato assunto tre anni fa. Ha distrutto Maryland in trasferta, domato Kentucky al Garden e nelle ultime 4 gare nessuna avversaria ha toccato anche solo quota 90 di Adj. Offense. Un mix di sangue blu (Jaime Jaquez più Tyger Campbell) e mentalità operaia che ti può portare molto lontano.

Brandon Miller (Alabama). Contro la migliore Gonzaga dell’anno, ha provato in ogni modo a tenere i suoi a galla. Nate Oats gli ha dato palla in mano spesso, proprio come si fa con le stelle NBA. Risultato: 36 punti e un paio di minuti di onnipotenza cestistica nel secondo tempo, dove tra triple e chiusure acrobatiche al ferro è sembrato il miglior giocatore della nazione. Nonostante la sconfitta, i Crimson Tide possono sfregarsi le mani.

 

Anton Watson (Gonzaga). Da sempre più un fattore in difesa che non in attacco, la gara con Alabama potrebbe essere il punto di svolta della sua carriera universitaria e possibilmente anche di quella futura tra i pro. 17 punti, 7/13 al tiro, 2/3 ai liberi, 5 rimbalzi, 2 assist, 3 recuperi: un contributo a tutto tondo, il suo, condito stavolta da giocate di risolutezza e fluidità atletica attaccando il ferro che raramente aveva offerto in passato.

New Mexico. La meno discussa e quotata (#74 su KenPom) delle 5 squadre imbattute in D1, però ha una vittoria in trasferta con Saint Mary’s nel taschino e in settimana ha battuto due mid una migliore dell’altra, San Francisco e poi Iona, con Richard Pitino che ha superato il papà/maestro Rick. Jaelen House e Jamal Mashburn impattanti e costanti come non mai, più un frontcourt rinvigorito dal portal: c’è anche lei nella lotta per il vertice della MWC.

 

Jalen Cone (Northern Arizona). Non proprio ai livelli di Miller, ma anche qui c’è un losing effort di quelli notevoli: 45 punti con efficienza fantascientifica (12/16 da due, 6/11 da tre, 3/5 ai liberi) nella sconfitta all’OT con Southern Utah. NAU non è un granché (4-9 con un calendario poco agevole) ma il play ex Virginia Tech è sempre l’ultimo a mollare ed è uno spettacolo assicurato di three-level scoring dal palleggio e jumper fluidi in uscita dai blocchi.

Gradey Dick (Kansas). Nella statement win contro Indiana il suo marchio è ben visibile: 20 punti, 4/5 da tre, un paio di schiacciate in transizione nonostante non appaia granché atletico. Se l’attacco dei Jayhawks è sbocciato nell’ultimo mese è anche merito delle maggiori attenzioni riservategli. Tra tagli, un tiro da tre sopraffino e transizione sta mostrando di essere un’arma che Bill Self, lungo la sua avventura a Kansas, ha avuto raramente.

 

Pete Nance (North Carolina). Nella vittoria al cardiopalma contro Ohio State non ha brillato al pari di altri suoi compagni (Bacot, Love e Davis tutti oltre quota 20 punti), ma si è ritagliato una fetta di gloria con un bellissimo canestro allo scadere che ha mandato la gara ai supplementari. Bravo lui e bravo pure l’assistant coach Jeff Lebo, che ha avuto gran coraggio e intuizione nel disegnare uno schema mai provato prima in allenamento.

Tristan da Silva (Colorado). I Buffs hanno bisogno di lui come faro offensivo. Fino a un paio di settimane fa aveva deluso abbastanza, ma il rivalry game con Colorado State aveva mostrato che qualcosa forse stesse cambiando. Sensazioni confermate in settimana: il tedesco ha fatto a pezzi North Alabama (25 punti) e Northern Colorado (26) con canestri di gran classe. Ora però deve dimostrare di poter giocare su questi livelli anche nella Pac-12.

 

Lorenzo Donadio (American). A parte l’anno da senior in high school, non è mai stato uno statsheet stuffer ma è un giocatore duttile che porta il proprio mattoncino. E che può avere i suoi acuti di tanto in tanto: in settimana, triple a raffica e 14 punti in soli 18 minuti con VMI per l’ottava vittoria di fila degli Eagles, una delle squadre più sorprendenti di questa prima metà di stagione. Speriamo sia il “la” per un contributo più visibile e più spazio.

Saint Mary’s. Non sappiamo se questo sia l’anno giusto per i Gaels e forse al momento non lo sanno nemmeno loro. Pazienti, eseguono bene, tirano discretamente, ma a volte sembra davvero manchi qualcosa – una scintilla, un po’ di aggressività offensiva. Il 10 dicembre battono in campo neutro una tostissima San Diego State e una settimana dopo perdono in casa contro la non irresistibile Colorado State. Qual è la vera Saint Mary’s?

 

Tennessee. Quella rimediata da Arizona non è stata una batosta, ma di fatto Zakai Ziegler e Olivier Nkamhoua sono gli unici da salvare in una trasferta che ha dimostrato tre cose: i Vols faticano nel trovare gente ispirata in attacco, devono sviluppare nervi più saldi di fronte a un pubblico ostile e la loro difesa – pur prima in tutta la D1 per Adj. Efficiency – non è un muro invalicabile contro un attacco ben congegnato come quello dei Wildcats.

Adam Miller (LSU). Non becca un voto peggiore perché il mese scorso ha fatto bene pur essendo reduce da un lungo stop e perché i suoi non perdono dal 23 novembre (10-1 in stagione), ma l’ex Illinois è infelicemente molto continuo nello scheggiare i ferri di Baton Rouge da un paio di settimane. Ultime tre gare: 1/10 dal campo contro Wake Forest, 0/10 contro NC Central e infine un più accettabile (ma comunque cattivo) 5/15 contro Winthrop.

 

Indiana. C’è una ricetta facile facile per fermarla: chiudere l’area, bloccare Trayce Jackson-Davis sotto canestro, sfidare gli altri al tiro. La difesa di Kansas aveva il materiale perfetto per attuare questo piano partita, così come fatto da Arizona e Rutgers in precedenza. Non esiste un piano B, ma non esiste neanche una difesa capace di reggere i colpi dei grandi attacchi della nazione. Un po’ poco se si pensa di voler vincere la Big Ten.

Harrison Ingram (Stanford). Doveva sbocciare in vista del Draft e invece è impantanato nella tristezza prodotta in campo da Stanford. Impalpabile contro una difesa d’élite come Texas (5 punti e solo sei tiri), impreciso al tiro (30% per 12 punti) contro Arizona State. Cosa succede all’ala mancina? Certo, mancano compagni e un manico in panchina capaci di aiutarlo, di esaltare le sue doti da playmaker, ma lui non sembra fare nulla per salire di livello.

 

Kentucky. Se Atene piange, Sparta non ride. Certo, siamo lontani anni luce dai disastri di Louisville (che però finalmente ne ha vinte ben due in settimana) ma i Wildcats hanno fallito tutti gli appuntamenti contro squadre di alto calibro (non è detto che Michigan rientri nel novero). Privi d’idee e spuntati in attacco come raramente li si è visti in passato, con UCLA non sono riusciti a toccare il 40% in nessuna categoria di tiro, nemmeno ai liberi.

KD Johnson (Auburn). L’anno scorso partiva in quintetto, mentre quest’anno è stato scelto da coach Bruce Pearl come arma tattica che porta esperienza dalla panchina. Questo, in teoria. In pratica invece nelle ultime uscite (non ha giocato contro Georgia State) ha portato solo ulteriore caos, troppi palleggi e poca sostanza, molte più perse che assist e 1/10 da tre punti. Guarda caso sono arrivate le sconfitte dei Tigers contro Memphis e USC.

 

Creighton. 6-0, 0-6. Non è una partita di tennis con due set schizofrenici ma l’inizio di stagione dei Bluejays. La squadra è rimasta a Maui e le cose non hanno fatto altro che peggiorare con l’assenza di Ryan Kalkbrenner nelle ultime tre gare. Idee confuse in attacco e una panchina inesistente. Eravamo fra i pochi scettici che non la vedevano da Top 10 in preseason, ma nemmeno noi pensavamo che potesse fare così male davanti alle prime difficoltà.

Jahmir Young (Maryland). Celebrato a inizio stagione come una delle sorprese dei Terrapins, forse non a caso quando è sceso di tono lui sono caduti anche i suoi, che hanno perso le ultime tre partite. Nel naufragio contro UCLA (87-60, mai in partita sin dal primo minuto) il confronto con Tiger Campbell è stato impietoso: Young ha chiuso con 3 punti senza mai segnare dal campo, 1 assist e 5 palle perse. Prestazione disastrosa.

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