La Week 3 è stata innanzitutto la settimana di Duke, probabile numero 1 della prossima AP Poll, capace di riportare Gonzaga sulla terra grazie anche a un Paolo Banchero cestisticamente onnipotente per venti minuti. Però c’è tanto altro che bolle nella pentola della NCAA, fra protagoniste inattese (Iowa State e Wisconsin), prestazioni mostruose (Trayce Jackson-Davis), mid-major heroes di tutte le taglie (Kenneth Lofton e Mason Landdeck) e giocatori che risultano decisivi solo una volta che vengono cacciati.
Johnny Davis (Wisconsin). I Badgers hanno conquistato il titolo al Maui Invitational e, dopo i conflitti interni emersi lo scorso anno, la miglior notizia per Greg Gard è che questa squadra sembra davvero unita sul piano emotivo, oltre a seguire le sue direttive. La seconda miglior notizia è che stavolta dovrebbe avere una vera e propria stella fra le mani. L’esterno sophomore Johnny Davis è stato tanto concreto quanto costante nell’arco delle tre gare (21 punti con Texas A&M, 30 con Houston, 20 con Saint Mary’s), sfoggiando bei numeri palla in mano e doti da three-level scorer che, se confermate, finiranno annotate sui taccuini di parecchi scout NBA.
Iowa State. Squadra in completa ricostruzione, con un nuovo head coach, era finita ultima nella preseason poll della Big 12. E neanche noi, a dirla tutta, immaginavamo di meglio per quest’anno. T.J. Otzelberger invece sembra aver ridato linfa al programma: la squadra è coesa, difende duro, ha un certo tasso di versatilità e sembra poter contare su protagonisti diversi (Izaiah Brockington ne ha dati 30 a Xavier, poi Gabe Kalscheur ha fatto altrettanto con Memphis). Forse il segreto, prima ancora di essere tecnico, è umano: i transfer pescati nel portal si stanno integrando bene e, fra di loro, c’è chi ha qualche rivincita personale da prendersi (il già citato Kalscheur e Tristan Enaruna in particolare). Per ora il risultato è eccellente: record 6-0 e due vittorie contro formazioni della Top 25.
South Carolina. In ambito maschile, il dibattito degli ultimi giorni è su chi debba stare alla #1 della nuova AP Poll, Duke o Purdue. Nel femminile, invece, i dubbi stanno a zero e ci si chiede se la difesa delle Gamecocks sia la più forte mai vista a Columbia. Le ragazze di Dawn Staley, ancora imbattute, hanno stravinto lo scontro 1-vs-2 con UConn al Battle 4 Atlantis, mostrato una difesa d’acciaio, rotazioni profondissime e costretto Paige Bueckers – pure bacchettata da coach Geno Auriemma in sala stampa – a una partita mediocre. Meglio di così, non si può.
Baylor. Reloading, not rebuilding. La frase è stata pronunciata spesso a proposito dei campioni NCAA in carica. Della squadra dello scorso anno è rimasto poco in termini di volti noti, lo sappiamo, ma sembra essere rimasto tutto in fatto di talento, atletismo, mentalità. Tanto è bastato ai Bears per vincere il Battle 4 Atlantis in relativa tranquillità. James Akinjo ha i suoi alti e bassi, ma dà l’impressione di poter evolvere in un giocatore realmente vincente. In fatto di potenziale, Kendall Brown e Jeremy Sochan stanno facendo girare molte teste. Attenzione: sembra ancora una volta il tipo di squadra che mai e poi mai abbandona la Top 10 durante l’anno.
Trayce Jackson-Davis (Indiana). T come Terremoto oppure come Tragedia (per gli avversari). Il buon Trayce ha annientato Marshall con quella che è finora la miglior prestazione individuale – se non altro per canestri segnati – vista quest’anno: 43 punti (18/24 da due, 7/9 ai liberi), 5 rimbalzi, 4 assist, 5 stoppate. Un dominio d’area da videogioco in modalità semplice. La parte più divertente? TJD ha piazzato la bellezza di 10 schiacciate, il massimo mai rilevato da quando esistono i play-by-play delle gare NCAA.
Elisa Pinzan (South Florida). Una settimana da sogno, sia per lei che per le Bulls, le quali hanno battuto una formazione in Top 10 solo tre volte nella propria storia. Due di queste, proprio negli scorsi giorni. Contro Oregon è stata l’italiana a fare da mattatrice con una prova da 26 punti (career-high) corredata di canestri dal palleggio sfrontati e liberi clutch, oltre che dal solito grande apporto in regia (10 assist). Contro Stanford, poi, è bastata una giornata in ufficio, che nel suo caso corrisponde a 11 punti e 6 assist. Questi due successi proiettano USF non solo come miglior formazione al di fuori delle Power 6, ma proprio come una delle più forti in assoluto al momento.
La sfida fra Banchero e Holmgren. Gli scontri individuali circondati da grande attesa mediatica finiscono spesso per deludere almeno un po’. Non è stato così in questo caso. È vero che Paolo Banchero ha finito per giocare sul serio soltanto un tempo (ah, maledetti crampi!), ma quel che ha fatto nei primi venti minuti contro Gonzaga vale per tre, dando una gran mano nell’indirizzare la gara verso Duke. Non si può dire che Chet Holmgren abbia inciso altrettanto, anzi, ma i numeri di classe da servire a scout e appassionati non sono comunque mancati. Insomma, chi ha pagato il biglietto può rimanere ampiamente soddisfatto.
Kenneth Lofton (Louisiana Tech). Un panzerotto di 201 cm per 125 kg baciato dagli Dei della pallacanestro. Ormai noto per il suo mix di fattezze tutt’altro che atletiche e agilità insospettabile, ha fatto parlare nuovamente di sé con un losing effort assolutamente fuori dal normale in casa di NC State: 36 punti (14/19 da due, 8/11 ai liberi), 18 rimbalzi, 4 assist. Footwork eccelso, finte da manuale, pazienza nel lavoro in post basso non scontata per un sophomore. Uno spettacolo per palati fini.
UConn. Sconsigliata ai cuori deboli. I primi test stagionali veri, andati in scena al Battle 4 Atlantis, si sono risolti così: vittoria dopo doppio overtime su Auburn in una partita di ritmi e tasso atletico completamente folli; perso di poco con Michigan State (nonostante le gambe pesanti del giorno precedente) con la complicità di un fischio arbitrale assurdo; vinto di nuovo al supplementare contro VCU, pur buttando via una marea di palloni. Adama Sanogo, quando vuole, può dominare come pochi in area e R.J. Cole è un leader fatto e finito: gli Huskies hanno ancora parecchio lavoro da fare, ma c’è del materiale serio per dare filo da torcere a Villanova nella Big East.
Mason Landdeck (Eastern Washington). Dalla panca entra un freshman pallidissimo con la faccia da 15enne, capello biondo quasi a scodella, gambe secche e il cui career-high fino a quel momento era di 10 punti contro Walla Walla (esiste, è un college vero). Ecco, lasciate perdere le apparenze con Landdeck, che nell’upset di EWU sul parquet di Washington State ha attaccato a testa bassa, tirato fuori 24 punti (di cui 18 nella rimonta del secondo tempo), battagliato a rimbalzo contro gente grossa il triplo, quasi innescato una rissa e, infine, pure fatto segno al pubblico di casa di starsene zitto e muto. Il lato oscuro degli eroi mid-major.
Andrew Nembhard (Gonzaga). Contro UCLA (24 punti, 6 assist) aveva fatto la partita perfetta e già c’era chi si affrettava a definirlo miglior point guard della nazione. Può darsi che lo diventi nel corso della stagione – sia chiaro, lui ci piace – ma bisogna aspettare ancora un po’ prima d’incoronarlo. Contro Duke, infatti, il canadese ha messo insieme numeri all’apparenza buoni (6 punti, 8 rimbalzi, 11 assist), ma la realtà dei fatti è che non ha trovato risposte durature contro l’assetto difensivo dei Blue Devils, commettendo anche ben 6 perse. Insomma, non è stato il floor general capace di cavare i suoi d’impaccio. Cioè quello che si chiede a una PG d’élite.
Cincinnati. Non abbiamo fatto in tempo a esaltarla nel nostro ultimo podcast dopo l’umiliazione inflitta a Illinois che si è subito sgonfiata, perdendo con Arkansas (ci sta) e soprattutto in casa propria con Monmouth. Wes Miller non ha un compito semplice da svolgere e questo suo inizio (5-2) rimane comunque positivo. Resta però da capire quali siano i veri Bearcats, gli ammazzagrandi di lunedì o gli spadellatori atroci di sabato?
Syracuse. Record 1-2 al Battle 4 Atlantis, torneo chiuso in maniera ingloriosa con un -21 al cospetto di Auburn. E l’unica vittoria è arrivata contro un’Arizona State incerottata. Gli esterni Orange vanno in difficoltà netta contro difese perimetrali di una certa intensità. Per sua fortuna, Cuse non gioca mica nella SEC, ma il problema non è di poco conto. Le buone notizie sono poche per ora, ma ci sono: il lungo Jesse Edwards sembra essersi sbloccato, regalando a coach Jim Boeheim una presenza d’area che da quelle parti non si vedeva da diversi anni. Potrebbe essere una buona àncora alla quale aggrapparsi in attesa che il resto salga di livello.
Gli infortuni d’Illinois. Ha reagito al -20 rimediato da Cincinnati con due vittorie (Kansas State, UTRGV), occasioni nelle quali Kofi Cockburn ha fatto il gigante in mezzo ai bambini (23+13 e 38+10). Di motivi per sorridere, però, ce ne sono ancora pochini. Infatti il voto qui viene dato alla buon stella d’Illinois, piuttosto assente. La lista degli infortunati si è allungata all’improvviso, colpendo in primis gli starter: Jacob Grandison (influenza), Andre Curbelo (collo), Trent Frazier (si era pensato a un crociato rotto, non è così, ma è comunque in stampelle) hanno saltato l’ultima e anche Benjamin Bosmans-Verdonk non ci sarà per la prossima. Bisogna stringere i denti.
La ACC. Dietro Duke, il nulla. Il bilancio settimanale accumulato dalla conference, escludendo i Blue Devils, è di 17 vittorie e 10 sconfitte, record già di per sé non esaltante per una high-major e che assume contorni peggiori se si prendono in esame gli scontri con squadre della Top 50 di KenPom: 2-5. Ed entrambe le vittorie in questione, oltre ad essere firmate dalla sola Louisville, sono le prime dell’annata. Se le cose rimangono così, Coach K potrà vincere il titolo di stagione regolare (trofeo che manca dal 2010) fra uno sbadiglio e un altro.
Jahvon Quinerly (Alabama). A un certo punto, contro Iona, l’attacco non girava mai quando lui aveva la palla. Quindi coach Oats gliel’ha tolta dalle mani negli ultimi cinque minuti, preferendo assegnare i compiti di regia a J.D. Davison. Il che però non gli ha impedito di fare dei gran bei danni nei possessi decisivi, coronando il tutto con la stoppata rimediata da Berrick JeanLouis che ha deciso la partita.
Rutgers. Pare che sia tornata la buona – cioè pessima – vecchia Rutgers di una volta: ha una striscia aperta di tre sconfitte consecutive, due nella scorsa settimana, entrambe sul filo di lana contro una low-major (Lafayette) e una mid-major (UMass). L’ultima è forse quella che fa più male, non solo per il +17 buttato al vento, ma anche perché la gara è stata persa a causa dell’improvvisa dipartita di quel che dovrebbe essere il pilastro degli Scarlet Knights, ossia la difesa (31 punti subiti negli ultimi dieci minuti, 85-83 il risultato finale).
Jalen Duren (Memphis). Nel naufragio con Iowa State, Emoni Bates è andato male, ma il suo compagno di reparto – e altro super prospetto – è riuscito a fare di peggio, molto peggio. Abulico, spaesato, un fattore negativo su entrambi i lati del campo, con più palle perse (5) che punti segnati (2) nel proprio tabellino. Anche se si trattava della prima sconfitta dei Tigers, c’è evidentemente qualcosa da sistemare: anche subito prima, contro Virginia Tech, Duren non era apparso all’altezza della situazione.
A.J. Bramah (Nevada). Martedì viene comunicata la sua estromissione dal programma per “condotta nociva alla squadra”. Dopodiché i Wolf Pack, fino ad allora detentori di un record 1-4 assai deludente, vanno a vincere con scarto ampio sia contro George Mason che contro Washington. Non sappiamo cosa sia successo di preciso col giocatore però, ecco, è una po’ difficile dare torto a coach Steve Alford dopo questa svolta improvvisa nei risultati.
Wright State. È la numero 2 nella preseason poll della propria conference, quella che dovrebbe far dormire sonni poco tranquilli a Cleveland State nella Horizon League. Dopo tre settimane non ha ancora battuto una squadra di Division I e gli insuccessi di quella appena passata – GW, JMU, Long Beach – non trovano giustificazioni di sorta. Coach Scott Nagy è completamente rassegnato e ha detto che reimposterà i propri piani tattici, a partire dalla difesa. Insomma: tutto sbagliato, tutto da rifare.