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Le scorribande di Trier e la sostanza di Clark

Autore: Manuel Follis
Data: 29 Dic, 2018

Ci sono due tedeschi, un serbo e un italo americano che entrano una lega professionistica e iniziano a far canestro. Sembra l’inizio di una barzelletta invece è una storia un po’ più seria. Accanto ai blasonati nomi che ogni anno vengono selezionati al draft ci sono alcuni giocatori snobbati dagli scout Nba che poi non solo trovano spazio in qualche franchigia, ma prendono anche spazio nelle rotazioni.

A Toronto ad esempio sono abbastanza contenti (eufemismo) di Fred Van Vleet, il cambio di Kyle Lowry, arrivato in Nba dalla porta sul retro. I tifosi di Philadelphia hanno imparato ad amare Robert Covington, che ha giocato così bene da diventare un asset da scambiare nell’affare Jimmy Butler (finendo a Minnesota). Nello Utah invece ritengono spesso fondamentali le giocate di Joe Ingles che con i suoi movimenti al rallentatore sembra un atleta d’altri tempi, ma capace di far male. Cosa li accomuna? Nessuno è stato scelto nelle 60 chiamate del draft.

I rookie

Per parlare solo dei più giovani, al momento il rookie Allonzo Trier sta giocando più minuti di Frank Ntilikina (scelto alla 8 nel draft 2017) o di Trey Burke, il fenomeno da Michigan che ha sempre avuto sorti alterne (con più bassi che alti) in Nba. Difficile dire se la fortuna di Trier durerà a lungo, al momento la guardia ex Arizona gode di grande libertà a NY dove può scorrazzare per il campo in attacco prendendosi tiri senza curare troppo la selezione e senza preoccuparsi eccessivamente della fase difensiva. Certo è che vedendo chi è stato scelto dopo Ntilikina al draft (chi ha detto Donovan Mitchell?) è probabile che qualcuno ai Knicks si stia facendo qualche domanda.

 

Altro giocatore che sta vedendo il campo è Gary Clark, il tuttofare ex Cincinnati, che ha giocato 16 minuti di media in 24 partite con Houston mettendo in mostra le sue caratteristiche: grande rimbalzista, molto preciso (il suo rapporto assist/palle perse è da top PG) ed essenziale nel suo modo di stare in campo, oltre al fatto che sa tirare da 3. Il suo coach al college Mick Cronin aveva detto di lui “è il ragazzo che vorrei mia figlia sposasse” mentre a Mike D’Antoni lasciando stare i matrimoni è bastato vedere l’applicazione difensiva (calcolando che ogni tanto aveva davanti agli occhi Carmelo Anthony) per capire che nel rapporto qualità/prezzo non sono molti che oggi  valgano un Clark. E guarda caso è arrivato un contratto triennale.

 

Ha visto il campo anche il mastino Deonte Burton a Oklahoma City. Il rookie è una guardia/ala che si pensava sarebbe stato un po’ senza ruolo in Nba, ma che grazie a fisico da toro e aggressività ha guadagnato qualche minuto sul parquet. Burton ora sta giocando in G-League ma i Thunder hanno un record di 5-1 nelle partite in cui Burton è stato in campo più di 10 minuti, certo record ottenuto non contro franchigie top, ma pur sempre da tenere a mente.

I sophomore

Andando indietro di un anno, e passando ai sophomore, a Boston si fregano le mani per l’impatto che ha Daniel Theis sulle partite, al momento tra i primi 20 della Nba per real plus/minus ed è ovviamente il primo dei Celtics nella statistica. Il che, parlando di un giocatore tedesco non selezionato al draft al suo secondo anno nella Lega, fa abbastanza impressione. La sua efficienza in campo lascia spesso sbalorditi.

 

Da un tedesco all’altro. È vero che a Dallas l’argomento del momento è Luka Doncic (che strano, chi l’avrebbe mai detto), il rookie scelto con la chiamata numero 3. Però c’è anche un sophomore che piace parecchio, è anche lui tedesco, si chiama Maxi Kleber, è alto 2,10, difende da veterano, ha il 17esimo miglior real plus/minus della Nba e sa tirare da 3. Ovviamente anche lui il draft l’ha visto in televisione.

 

Chi, tra i sophomore undrafted, sta in campo più di tutti è Ryan Arcidiacono, l’italo-americano che è anche uno dei pochi che sembra aver capito qualcosa a Chicago, squadra che sta vivendo un’annata disastrosa. Ecco, il normo dotato Arcidiacono non sarà mai una stella da all star game, ma in compenso ha capito che giocare con intelligenza aiuta. E in un contesto come quello dei Bulls tanto basta perché sembri John Stockton.

Chiudiamo la carrellata con l’ultimo giocatore non-scelto che sta facendo bene in quel di Utah, ossia Royce O’Neale . Il contesto di squadra aiuta (un progetto preciso e coesione in spogliatoio), ma O’Neale sta contribuendo con molta grinta, abnegazione difensiva (ha il terzo miglior def rating dietro ai due tedeschi già citati) e qualche buona tripla quando lasciato libero.

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