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Elisa Pinzan, leader di una South Florida da Top 25

Elisa Pinzan South Florida
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 12 Dic, 2020

Nella scorsa puntata italians, fra i vari, avevamo parlato di Lorela Cubaj, però quando si tratta di azzurre del college basketball, non si può non passare anche da Elisa Pinzan, specie in una stagione come questa. Giunta al terzo anno con South Florida, è oramai una floor general affidabilissima e una delle giocatrici più in vista dell’American Athletic.

Abbiamo intervistato la ex Reyer, che è in un periodo da favola: la sua USF ha sconfitto Mississippi State per 67-63 dopo un OT (mai la squadra era riuscita a battere una numero 6 del ranking) e lei ha dato un contributo fondamentale mettendo in fila 14 punti, 11 rimbalzi, 9 assist, 3 recuperi a fronte di sole 2 palle perse. Una prestazione che le è valsa il premio di giocatrice della settimana nella AAC.

Elisa Pinzan South Florida Mississippi State

Elisa Pinzan in azione contro Mississippi State (Photo by USF Athletics)

Comincio con una domanda scema: devo chiamarti Elisa o Elaisa?

No, ti prego, no. [ride]

Quindi anche in squadra ti chiamano “Elaisa”, immagino.

No, diciamo che quando sono qua con loro, mi chiamano “E”. Facile facile. Mentre se c’è qualcuno che mi conosce, anche nelle interviste, mi chiama Elisa. Ma se è ESPN o qualcuno che non mi conosce…

Infatti quando ti becco su ESPN, non credo di aver mai sentito “Elisa”.

Esatto! [ride]

E a proposito di ESPN, c’è un loro telecronista che credo ti debba offrire da bere, perché nella partita con Mississippi State ti ha portato un po’ sfiga. A un certo punto nel terzo quarto ha detto, più o meno, “Elisa Pinzan ha buone probabilità di fare una tripla doppia” e, tac, alla fine ti è mancato solo un assist per arrivarci.

Ah sì, ho visto, ho visto. Me l’ha chiamata.

Parlo di cose serie adesso. Settimana pazzesca: avete battuto la numero 6 del ranking – e già prima ve l’eravate giocata con Baylor – e tu sei stata eletta Player of the Week nell’American Athletic. In una parola?

Emozionatissima. Contro Baylor ero un po’ incavolata, diciamo, perché i tiri non mi erano entrati. Ho fatto 6 assist, però sai, vuoi anche andare sui 9-10 punti. Diciamo che in generale la squadra non ha segnato troppo. Poi qualche volta abbiamo avuto delle pause in difesa e quello non te lo puoi permettere più di tanto contro squadre della Top 25. Penso che sia stato quello il motivo per il quale non abbiamo vinto contro Baylor: abbiamo perso di 4, potevamo farcela benissimo. Quindi la testa mi è andata direttamente a Mississippi e mi sono detta “ok, quella partita è la partita”. Avevo fatto tutta la settimana con la testa pronta per sabato. Ho fatto allenamento individuale con uno degli assistenti, lavorato sul tiro, sul floater.

E appunto hai messo un bel floater proprio nell’ultimo quarto.

Sì, e poi i tiri liberi alla fine. Anche se comunque ho fatto 4 su 14, quando dovevo segnare, ho segnato. Vedere come la squadra ha giocato, l’energia che aveva… era semplicemente una partita bellissima.

 

Voi sembravate proprio una squadra da Top 25, anche se poi non so perché non vi hanno messo nel ranking.

Non lo so neanch’io, ma non importa. [ride]

Date l’idea di una squadra che in certi aspetti è un po’ più avanti di quanto ci si dovrebbe aspettare a inizio stagione. Se avete spazi, provate ad accelerare i ritmi, ma se avete davanti una Mississippi State atletica e che rientra sempre bene in transizione difensiva, poi nella metà campo trovate il modo di muovervi e far girare palla. Ovviamente tu hai un ruolo centralissimo in questo, però volevo chiederti se c’è qualcos’altro che il coach ti chiede in particolare.

È partito tutto dall’anno scorso, quando mi ha chiesto di essere il leader no matter what. Anche nella giornata in cui non vanno dentro i tiri, non importa: essendo un playmaker, posso fare assist, gestire la squadra, difendere. Segnare punti per me è meno importante di avere dieci assist in una partita. Penso che quest’anno ho iniziato con la testa giusta. Anche per le palle perse. Questa cosa del leader, quest’anno, non l’hanno accennata troppo, quindi vuol dire che sto facendo abbastanza bene. [ride]

Elisa Pinzan South Florida Mississippi State 2

Elisa Pinzan, leader di fatto e anche leader vocale (Photo by USF Athletics)

A proposito di passaggio dal primo al secondo anno, da sophomore eri migliorata molto al tiro (dal 24.2% al 36.4% da tre punti). Avevi fatto un lavoro mirato durante quella offseason?

Sì, non solo qui ma anche quand’ero tornata a casa per un mesetto in estate per la Nazionale. Mi avevano dato un bloc notes con una lista di cose da fare: arresto e tiro, tiro da tre, etc. Quello alla fine è lavoro che salta fuori.

Parlando della squadra, voi in preseason eravate indicate ufficialmente come favorite della conference: c’è una squadra in particolare che pensi possa infastidirvi più di altre, anche a livello di match-up con voi?

Penso che ce ne siano due un pelino più importanti: UCF e Cincinnati. Le possiamo battere, però sai, non possiamo andare con la testa “oh, ci hanno preso come prime, possiamo fare quello che vogliamo”. Abbiamo più pressione ma non possiamo permetterci che questa cosa ci entri in testa.

Diciamo che questo è un anno particolare per voi non solo per la pandemia, ma anche perché non c’è più UConn nella AAC per la prima volta dopo tanti anni. Domanda cattiva: è più il dispiacere di non affrontare una squadra del genere, proprio quest’anno che USF è così promettente, oppure il sollievo di non avere più una corazzata come quella davanti?

Penso sia un po’ cinquanta e cinquanta. Sinceramente mi dispiace perché, soprattutto quando giochiamo in casa, riusciamo sempre a essere lì lì, perché è successo sia al primo anno che ero qua che al secondo. Poi in casa loro è diverso, però vabbè lasciamo stare. [ride] Da una parte sei contenta perché puoi vincere l’anello, però dall’altra giocare contro UConn ti prepara per andare avanti: con loro sai come sono le squadre top, da Final Four.

Elisa Pinzan USF Baylor

Elisa Pinzan a canestro nell’upset sfiorato contro Baylor, allora numero 4 della Top 25 (Photo by USF Athletics)

Almeno avete già avuto un assaggio di questo genere, visto che avete già incontrato due squadre così. Da questo punto di vista, siete parate. Facendo un passo indietro e tornando su di te, dicevi prima del tuo salto di qualità da sophomore, però la sensazione è che già da freshman tu fossi arrivata preparata. Al di là di quel che appare dall’esterno, per te ci sono stati dei punti di difficoltà al tuo arrivo, alle prese con un paese diverso e con un basket diverso?

Penso che la differenza principale stia nella preseason, che non ha niente a che fare con quella a cui ero abituata. Pesi quattro volte a settimana, metabolico cinque volte a settimana, con individuali in mezzo. Mi ricordo il primo giorno che sono arrivata abbiamo fatto mad ball running. Hai una palla medica, devi sbatterla cinque volte andando da una linea di fondo all’altra, poi inizi a correre con la palla sopra la testa. E la devi tenere su, perché appena la appoggi alla testa ti urlano dietro. Fai quattro campi, poggi la palla, inizi a fare cinque flessioni, però quelle fatte saltando dopo che ti pieghi. Infine fai quattro campi senza palla medica, correndo. E dovevo farlo cinque volte! Un primo giorno che non dimenticherò mai.

Penso che una persona normale stramazzerebbe al suolo dopo cinque secondi…

No, ma è stato pazzesco. Questa comunque è stata la cosa principale, poi sul basket ti adatti. Capisci cosa vuole l’allenatore, com’è la tua squadra. Però la preseason… madonna! [ride]

Ecco, la tua squadra. Se ne vedono diverse con giocatrici straniere, ma South Florida incuriosisce molto perché è una specie di Piccola Unione Europea (nel roster, su 15 ragazze, ci sono 11 europee da 8 paesi differenti). Pensi che questa cosa ti possa aver aiutato a integrarti all’inizio?

Il fatto di venire tutte dall’Europa mi ha aiutato, perché la cultura qui in America è completamente diversa. Avere compagne che hanno un po’ i tuoi stessi pensieri, il tuo stesso stile di vita, aiuta. Imparare la lingua insieme a loro è stato molto più semplice. Io quando sono arrivata, con l’inglese proprio zero. “Ciao, come stai, tutto bene”, questo è quello che sapevo. Però loro sono sempre bravi, cioè se non capisci qualcosa che stanno spiegando, puoi sempre chiedere senza problemi. I vice sono sempre lì ad aiutarti. Ora al terzo anno non è che vengono più a chiedermi se ho capito, però coi freshmen sì, sempre.

È stato questo uno dei fattori che ha giocato per te nello scegliere South Florida?

Penso di sì. Poi c’è il clima, perché io odio il freddo e qua comunque è sempre estate, anche a dicembre ci sono minimo 15 gradi. Infine, nel periodo in cui dovevo scegliere, era una squadra in Top 25, una squadra di livello.

L’esultanza di South Florida al termine della gara con Missisippi State (Photo by USF Athletics)

E più in generale, perché hai scelto la Ncaa piuttosto che proseguire il percorso in Italia?

Perché giocare in America è sempre stato un po’ il mio sogno, vedere la differenza fra la palestra qua e in Italia, come approcciano le partite, l’atmosfera. Poi il presidente della Reyer mi ha sostenuta molto nella scelta.

Visto che avevo aperto con una domanda scema, vado (quasi) a finire con un’altra domanda scema. Tu vivi in Florida, che ha una fama particolare e sulla quale i comedian ci marciano un po’ su. Cioè è la patria dei fatti di cronaca più assurdi. In quasi tre anni lì, ti è mai capitato di assistere a un fatto da “Florida Man” o comunque qualcosa di strano che ti sei detta “solo qui poteva succedere”?

Questa è una domanda difficile. Qui a Tampa per esempio c’è un giorno di vacanza a fine gennaio, il Gasparilla, dove giri i bar e inizi a bere. È tipo carnevale a Venezia, con le strade piene di gente. Ma l’unica cosa che fai, è bere. Non la trovo molto logica come cosa, però la fanno. [ride]

C’è una domanda di rito per gli italiani all’estero, e qui tocca fartela visto che c’è anche il covid di mezzo a complicare le cose: ti manca l’Italia?

Assolutamente sì. Lì c’è la mia famiglia e quando finisco l’allenamento mi fanno da mangiare, qui comunque devi cucinare tu o andare a prendere da qualche, però non sono una grande fan dell’asporto. Preferisco fare da me, sai, preparare cose normali che mangiamo in Italia. Poi io non ho mai fatto natale senza la mia famiglia, questo sarà il primo. Mancano dieci giorni, non penso che verranno a trovarmi. Prendi un volo, fai sette giorni di quarantena, poi mi vedi per sette giorni, riparti e a casa devi fartene altri quattordici. Poi sì, in generale ci sono dei momenti in cui ti manca la famiglia. Però ti aiuta un sacco perché diventi responsabile.

Allora, avendo fatto una domanda perfetta per buttare giù di morale qualcuno, chiudiamo con una nota diversa. Se chiudi gli occhi e provi a immaginare dove sarai a marzo, cosa vedi?

A marzo? Vincere il torneo di conference, poi entrare nel Torneo Ncaa e lì proprio fare cacao, detto proprio in italiano. [ride]

 

Foto in copertina: Mark Lamoglio | Associated Press

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