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Caterina Piatti: ‘Sono pronta per vivere al massimo l’Ncaa’

Autore: Paolo Mutarelli
Data: 20 Ago, 2025

Due medaglie di bronzo in due anni con la Nazionale under 20 e ora Caterina Piatti è pronta per partire. L’aspetta l’University of Florida che ha vinto l’ultima edizione della March Madness maschile mentre in campo femminile l’obiettivo è proprio tornare al Torneo.

Il centro azzurro classe 2006 ci ha raccontato il suo viaggio partito dalla provincia di Reggio Emilia per arrivare in una delle università più antiche e importanti d’America.

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Nativa di Scandiano, cresciuta a livello cestistico a Costa Masnaga e l’esordio quest’anno con San Martino di Lupari in Serie A. Qual è stata la scintilla col basket e come è andato il tuo percorso fin qui.

Sono cresciuta in una famiglia in cui il basket è stato da sempre una presenza costante, quasi naturale. Mio papà Gigi ha giocato in Serie B e oggi è allenatore, mentre mia mamma Ester è stata una giocatrice della nazionale ungherese e ha continuato per molti anni ad allenare. Per me e i miei fratelli lo sport è sempre stato parte integrante della quotidianità e, fin da piccola, ho respirato quell’atmosfera di palestre, trasferte, spogliatoi e partite. Alle scuole medie praticavo sia pallacanestro che pallavolo, con risultati discreti in entrambi gli sport, e anzi, inizialmente tendevo a preferire la pallavolo. Ma poi sono arrivati i primi raduni con le selezioni provinciali e successivamente regionali: lì ho cominciato a sentirmi più coinvolta emotivamente e stimolata ogni volta che entravo in campo. In più mio padre con la sua solita ironia mi ha dato una “spintarella” decisiva: o sceglievo il basket, oppure sarei andata a vivere in giardino! Così ho scelto il basket.

Una presenza ormai fissa nelle nazionali under, con tanto di doppio bronzo con l’U20. Partiamo da quello dell’estate scorsa, com’è andata?

L’estate scorsa è stata per me davvero speciale e indimenticabile. Ho avuto l’onore di partecipare all’Europeo Under 20 con le ragazze nate nel 2004, quindi due anni più grandi di me. Entrare a far parte di quel gruppo è stato un privilegio, perché sapevo quanto fosse competitivo e quanto alto fosse il livello. L’intera esperienza è stata incredibilmente formativa sotto ogni punto di vista: ho imparato tantissimo sia a livello tecnico che umano, e ho provato emozioni difficili da descrivere. Il torneo si è concluso con una bellissima medaglia di bronzo, che è stata il coronamento di un percorso durissimo, ma anche pieno di entusiasmo e voglia di lottare. Per me è stato un Europeo davvero intenso, proprio per il valore del gruppo, per il livello di gioco e per la fiducia che lo staff tecnico ha riposto in me. Mi sono sentita accolta, valorizzata e parte di qualcosa di grande.

Caterina Piatti

Nelle ultime due edizioni dell’Euro U20, sono arrivati due bronzi per l’Italia. In entrambi Caterina Piatti era a roster.

Raccontaci un po’ com’è andato questo torneo appena concluso: anche qui in molti dopo il girone non si aspettavano una medaglia e invece…

Il torneo è partito in salita con la squadra che non si è esprimeva in modo brillante, come fatto nelle amichevoli. Da qui un girone eliminatorio sottotono. Ma sapevamo che saremmo cresciute di partita in partita, continuando a lavorare e credendoci. Da qui nasce la medaglia, dalla grande determinazione di ragazze che indossavano la maglia azzurra.

Quanto è stato complicato farsi trovare pronta con poco spazio a disposizione?

Prima di una partita non si sa mai quanto si starà in campo e se si entrerà in campo. Io penso di aver fatto tutto con impegno e determinazione ogni istante sul parquet

Che storia c’è dietro alla dub che hai fatto con Carlotta Zanardi e Francesca Baldassarre per festeggiare?

Io e Carlotta eravamo in camera insieme e una sera, mentre discutevamo su un nome da dare a un nuovo gioco, abbiamo pensato scherzando di chiamarlo dub e da lì la situazione è degenerata e la facevamo praticamente sempre.

Vieni da una generazione di giocatrici che è molto interessata agli Stati Uniti: Eleonora Villa ci ha detto che vi siete sentite per parlare di NCAA, ma anche nell’attuale spedizione U20 siete in quattro che affronterete quest’avventura: quanto è importante vivere insieme con le altre questa situazione?

La decisione di trasferirsi negli Stati Uniti per studiare e giocare a basket è sicuramente una scelta profondamente personale, perché comporta sacrifici, cambiamenti e tante incognite. Detto questo, avere persone con cui condividere questo percorso – anche solo a livello di confronto – è molto importante. Poter parlare delle stesse ansie, delle stesse domande, ma anche delle opportunità e degli entusiasmi, ti fa sentire meno sola e più compresa. Con Eleonora Villa, in particolare, ho un rapporto molto stretto: siamo amiche da anni, ci sentiamo spesso e ci aggiorniamo su tutto. Il suo entusiasmo, la sua determinazione, il fatto che avesse già fatto alcune scelte prima di me mi hanno sicuramente dato coraggio. Ma credo che ogni ragazza che decide di lasciare l’Italia per intraprendere questa strada sia spinta da una motivazione fortissima, personale e profonda.

Come nasce l’idea di andare negli USA e da quanto tempo segui l’NCAA?

L’idea di andare a studiare e giocare negli Stati Uniti non è arrivata per caso. È nata già alla fine della terza media, quando ho deciso di trasferirmi a Costa Masnaga per affrontare un percorso sportivo più strutturato. Da quel momento, ho iniziato a seguire con più attenzione il mondo NCAA e a sognare un giorno di poter far parte di quel sistema così organizzato e affascinante. Negli ultimi tre anni, con il supporto della mia famiglia, abbiamo avuto contatti con più di venti università di Division I, parlando con coach, responsabili accademici e staff di reclutamento. All’inizio conoscevo solo a grandi linee il funzionamento del college basketball americano, ma col tempo ho approfondito e ho imparato a conoscerlo sempre meglio, fino a sentirmi davvero pronta per affrontarlo.

Oltre a Florida, tra le più interessate a te c’erano Penn State e California. Cosa ti ha fatto propendere per le Gators?

Il processo di reclutamento è stato lungo, intenso e per certi versi anche emozionante. Con le varie università interessate abbiamo iniziato con videochiamate conoscitive, durante le quali parlavamo dei miei obiettivi, della loro filosofia di squadra e della loro proposta accademica. Con il passare del tempo, il coinvolgimento è cresciuto: si sono aggiunti allenatori, membri dello staff tecnico, tutor universitari. A settembre 2024, le allenatrici delle tre università con cui avevo instaurato il rapporto più solido sono venute in Italia a conoscere me e la mia famiglia. Dopo le mie visite ufficiali, ho dovuto prendere una decisione davvero difficile, perché avevo creato un bel legame con persone fantastiche in più posti. Ma alla fine ho scelto Florida perché con loro ho sentito un feeling speciale, un’autenticità nei rapporti, e un grande entusiasmo da parte dello staff. Florida mi ha trasmesso fiducia e appartenenza fin da subito.

Caterina Piatti

Raccontaci delle visite che hai fatto: cosa hanno organizzato le università per te e come è strutturata la visita? 

Il viaggio negli Stati Uniti per visitare i college è stato davvero un momento importante, anche dal punto di vista emotivo. La prima tappa è stata in Florida, dove sono rimasta tre giorni: ho visitato il campus, le strutture per gli studenti-atleti che sono veramente impressionanti, assistito a un allenamento e anche a una partita ufficiale. Lo staff mi ha fatto sentire accolta fin dal primo minuto e mi ha anche organizzato un incontro con una ragazza italiana del team di nuoto: è stato bello avere un confronto diretto con chi come me ha intrapreso questo percorso per potersi confrontare su tanti aspetti della vita universitaria. Poi mi sono spostata a Penn State e, anche lì, sono rimasta colpita: lo staff era fantastico e anche le ragazze molto disponibili. Non pensavo di poter trovare un ambiente così positivo dopo aver vissuto l’esperienza in Florida, ma è successo. Questo ha reso la mia scelta finale ancora più sofferta. In generale, l’organizzazione delle visite è stata impeccabile, e ho percepito una grande attenzione nei miei confronti.

Che corso di laurea hai scelto? 

Ho scelto di iscrivermi a Psicologia, un percorso che mi ha sempre affascinato e che prosegue idealmente il mio indirizzo al liceo delle Scienze Umane. 

Le coach come organizzano questo momento dell’anno in cui devi ancora conoscere le tue compagne di squadra?

Ho avuto modo di conoscere alcune giocatrici durante la mia visita al campus e ci sentiamo ancora oggi. All’inizio c’era un po’ di timidezza, com’è normale, ma poi si è creato subito un clima positivo e accogliente. Sono rimasta in contatto in particolare con una ragazza spagnola, che sarà sophomore quest’anno, e in squadra ci saranno anche una svizzera, un’australiana e una canadese. Questo mix di culture è una delle cose che più mi affascina dell’esperienza americana. Lo staff tecnico è super presente e attento: ci sentiamo spesso, quasi ogni giorno, e addirittura sono venute a vedermi all’Europeo in Portogallo, cosa che mi ha colpita molto, visto l’impegno che hanno già con la squadra in ritiro. Il roster sarà giovane, ma molto promettente: è un progetto a lungo termine in cui credo molto.

Parliamo del NIL. Quale ruolo pensi che avrà nel processo di recruiting e pensi che l’NCAA sarà una strada sempre più battuta dalle italiane e dalle giocatrici europee?

Credo che la possibilità di accedere al NIL sia un ulteriore incentivo per chi sceglie di trasferirsi negli Stati Uniti. Ovviamente, secondo le mie priorità, non deve essere la motivazione principale, ma è una risorsa concreta che può aiutare a sostenere il percorso accademico e sportivo. In Italia questa possibilità non esiste, o comunque è molto limitata. Per questo penso che sempre più ragazze europee, e italiane in particolare, vedranno il sistema NCAA come una grande occasione, sia per crescere sportivamente sia per costruirsi un futuro a 360 gradi.

Caterina Piatti

Sei un centro, cosa pensi che l’esperienza americana può darti dal punto di vista del gioco? 

Mi ritengo una lunga molto mobile che può ricoprire tranquillamente gli spot sia di 4 che di 5. So che il mio percorso di crescita è ancora lungo. Mi sento una giocatrice in costruzione, con margini di miglioramento importanti sia a livello tecnico che fisico e mentale. Penso che l’ambiente americano, con staff così preparati e strutture di alto livello, possa aiutarmi a sviluppare al meglio tutte queste aree. In generale lavorerò molto sul gioco spalle e fronte a canestro. So che ci sarà da faticare, ma sono pronta a farlo, con umiltà e determinazione. Sta per iniziare un nuovo capitolo della mia vita, pieno di aspettative e voglia di mettermi in gioco.

Il basket femminile in America sta esplodendo ed è ora straseguito, come ti fa sentire? 

Negli ultimi due anni, la pallacanestro femminile negli Stati Uniti ha fatto un salto enorme in termini di visibilità, interesse e coinvolgimento del pubblico. Entrare in quel mondo oggi è un’occasione unica, anche per chi, come me, viene da un contesto dove tutto questo è ancora molto lontano. Sarà tutto nuovo, stimolante e a tratti anche travolgente, ma mi sento pronta e motivata per viverlo al massimo.

Facciamo che agosto 2026, tra un anno esatto, ci risentiamo sempre per un’intervista. Saresti contenta se fosse successo cosa? 

Mi auguro che, tra un anno, potrò dire di essermi inserita con successo nel nuovo contesto accademico e sportivo. Vorrei guardarmi indietro e sentire di aver fatto la scelta giusta, di essermi costruita un equilibrio e una nuova “casa” lontano da casa. Se poi arrivasse anche la convocazione con la Nazionale Under 20, vorrebbe dire che il percorso sta andando nella direzione giusta, e ne sarei davvero orgogliosa.

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