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Butler, 10 anni fa a un tiro dalla storia

Butler
Autore: Giovanni Bocciero
Data: 16 Apr, 2020

Quest’anno ricorre il decennale di quello che è considerato il più grande momento ‘what if’ della March Madness. Parliamo della corsa di Butler a un passo dal titolo nazionale che si concluse con il tiro iconico di Gordon Hayward. Butler ha perso contro Duke, ma grazie anche al finale da film quella è diventata una delle migliori partite mai giocate del campionato universitario.

Ci sono talmente tanti di quegli aspetti che rendono il percorso di Butler del 2010 più unico che raro. La più piccola università, con i suoi circa 5 mila studenti, ad aver mai raggiunto una finale Ncaa dall’espansione del torneo nel 1979. Solo questo fa già sorridere. Aggiungiamoci che la finale si giocava al Lucas Oil Stadium di Indianapolis, a poco meno di 10 km dal proprio campus, e che per questo in caso di vittoria i Bulldogs sarebbero entrati nella storia per aver vinto giocando praticamente in casa. Come avvenuto soltanto in altre tre occasioni: CCNY a New York nel 1950 e UCLA a Los Angeles nel 1968 e nel 1972.

Il tiro da metà campo sulla sirena di Gordon Hayward

Le basi del successo

Pur essendo un piccolo college, con il solo basket a far da traino, Butler ha sempre avuto una buona tradizione. Se fossimo in Italia la definiremmo una piazza storica pur non avendo mai giocato in massima serie. Le grandi fortune dell’ateneo le hanno fatte l’arrivo di coach Brad Stevens nel 2007, e i giocatori da lui successivamente reclutati, come Gordon Hayward – che stava quasi per mettere da parte il basket per il tennis – e Shelvin Mack.

Con pochissima esperienza, Stevens ha gettato le basi del successo costruendo un sistema difensivo che fosse il più efficiente possibile. La tattica difensiva dei Bulldogs era logorare l’attacco avversario sino a fargli perdere consapevolezza e concentrazione. L’incredibile chimica tra i ragazzi era un ulteriore punto a favore della squadra, in virtù del fatto che ognuno di essi era stato reclutato affinché si abbinasse all’idea di gioco del tecnico.

Brad Stevens e Gordon Hayward

Non chiamatela Cenerentola

La corsa di Butler ha senz’altro la trama di una fiaba, ma guai a chiamarla Cenerentola. Dopo una sconfitta al 76 Classic di Anaheim contro Minnesota, gli avversari negli spogliatoi festeggiarono come se avessero vinto il titolo nazionale. In quel preciso momento i giocatori presero consapevolezza di essere davvero una squadra temuta.

“L’anno prima ci eravamo dati come obiettivo partecipare al torneo Ncaa – parole dell’allora assistant coach Terry Johnson ed abbiamo perso al primo turno. Sapevamo però di non aver dato il massimo. Così all’inizio della stagione Stevens riunì la squadra e disse chiaramente che questa volta avremmo dovuto provare ad andare fino in fondo”.

La squadra d’America

Forte di un 18-0 nella Horizon League, Butler si presentava al Torneo Ncaa da seed 5. UTEP, poi Murray State, poi ancora la #1 Syracuse e la #2 Kansas State: questa la lista delle vittime dei Bulldogs nella marcia verso la prima Final Four della loro storia. Con i suoi 33 anni, Stevens diventa il più giovane allenatore a raggiungere tale traguardo dai tempi di Bobby Knight, che vi riuscì con Indiana nel 1973 a 32 anni.

Fra giornalisti da tutti gli Stati Uniti e furgoni della Nike che regalavano gadget vari, il campus di Butler passa dall’essere quello di una scuola ordinaria a un circo festoso. In città c’è talmente tanto entusiasmo che i giocatori, nella settimana più importante della loro carriera, vanno a cenare in centro e vengono accolti al ristorante con una standing ovation. Insomma, Butler è diventata la squadra d’America. E questo sentimento non poteva che venire rafforzato quando i Bulldogs ebbero poi la meglio di Michigan State (52-50) in semifinale.

Il rettore di Butler Bobby Fong festeggiato dagli studenti dopo la qualificazione alla Final Four

“Sono stati la squadra più fisica contro cui abbiamo giocato quell’anno – parole di coach Tom Izzo E pensare che siamo un college di Big Ten, quindi abituato ad una conference molto competitiva. In un certo senso ho adorato quella squadra, tranne per il fatto che ci ha battuti”. Con la finale in tasca, il commentatore di Cbs Jim Nantz dice che “Butler rappresenta le speranze di tutte le piccole università”.

L’appuntamento con la storia

La finalissima con Duke è una battaglia fisica e mentale. Nell’arco dei 40 minuti di gioco ci sono 15 cambi di vantaggio con un massimo di sei punti raggiunto da Duke e sette parità. Se Hayward è la stella della squadra, la guardia Mack è il principale terminale offensivo, tanto da sorreggere da solo Butler nel primo tempo. Il play Ronald Nored e il centro Matt Howard sono invece la spina dorsale della difesa, con quest’ultimo a rischio perché contro gli Spartans aveva subito una sospetta commozione cerebrale. Questa non è la sua miglior prestazione, ma dalla panchina si alza l’ala Avery Jukes, transfer da Alabama, che infila due triple pesanti.

Sul -1 a 13″ dalla fine Stevens affida l’ultimo tiro a Hayward. Dopo aver ricevuto, riesce ad avvicinarsi quanto basta al canestro per tirare. Purtroppo il tiro riesce solo a scalfire il ferro e il centro dei Blue Devils Brian Zoubek fa suo il rimbalzo venendo mandato in lunetta.

 

Zoubek segna il primo. Con 3″ sul cronometro e Butler senza più timeout, coach Mike Krzyzewski gli urla di sbagliare il secondo così che gli avversari non si possano organizzare per un ultimo tiro. Sull’errore è Hayward a prendere il rimbalzo e a lanciarsi in palleggio verso il centrocampo. Marcato da Kyle Singler prende un blocco del compagno Howard che lo libera per il tiro che tiene in sospeso tutto il Lucas Oil Stadium. Il programma SportsScience trasmesso da Espn ha stabilito che quel tiro sarebbe dovuto essere tre pollici (poco più di 7 cm) più a sinistra per entrare.

 

Coach Stevens molto di recente ha detto che “è stata una delle migliori partite in assoluto disputate da una squadra che ho allenato. Se avessimo vinto ci avrebbero chiamati campioni nazionali. Ma vincere ti rende una persona diversa? No. Avrebbe cambiato la storia, ma quei ragazzi sono speciali per quello che sono, e non per quello che hanno raggiunto”.

L’ascesa non si è interrotta

La mancata vittoria non ha cambiato la carriera dei protagonisti. Infatti quella stessa estate Hayward si dichiarò al Draft e oggi, pur dopo il grave infortunio, il progetto di Boston ruota anche intorno a lui. Merito del suo mentore Stevens, che nel 2013 ha lasciato Butler per la panchina dei Celtics. E lo ha fatto stabilendo un nuovo primato. Infatti con una percentuale di 77.2% di vittorie nei primi sei anni di carriera da head coach (periodo 2007-2013) è il più vincente della Division I, davanti a colleghi come Shaka SmartRoy Williams e Tom Izzo.

Otto anni di onorata carriera Nba è invece il curriculum di Mack, che ha guidato i Bulldogs nel 2011 all’incredibile back-to-back per il titolo. In quella circostanza ancora una volta vittoria sfumata contro la UConn di Kemba Walker, oggi play di Stevens e compagno di Hayward a Boston. In questa stagione Mack ha avuto una parentesi opaca con l’Olimpia Milano, ma comunque una carriera discreta rispetto al trio vincente di Duke composto da Jon Scheyer, Nolan Smith e Kyle Singler. I primi due sono oggi assistant coach di coach Krzyzewski, mentre addirittura il protagonista inaspettato del finale thriller Zoubek nel 2012 ha appeso le scarpe al chiodo per aprire una pasticceria nel New Jersey.

Nonostante l’affermata carriera, Hayward continua a rammaricarsi per quel titolo soltanto sfiorato:

“Ho avuto il tiro che poteva riscrivere la storia. Vorrei poter avere un’altra possibilità per vincere quella partita. È qualcosa che porterò sempre con me”.

 

 

Bibliografia

Inside the journey to college basketball’s biggest ‘what-if’ moment

3 inches from the greatest basketball story ever told

Butler’s incredible 2010 NCAA run, remembered by Coach K, Tom Izzo

Videografia

Butler’s run at the 2010 Final Four

Inches from Immortality: How Gordon Hayward and Butler Almost Toppled Duke

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