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Wagner trascina Michigan in finale

Un grande Moritz Wagner, un Charles Matthews determinante e Michigan mette fine alla favola di Loyola-Chicago (69-57) con un grande secondo tempo, tornando a giocarsi una finale per il titolo dopo 5 anni (2013 l’ultima finale, 1989 l’ultimo titolo).

Wagner ha chiarito il concetto: è da NBA

Una March Madness finora sotto le aspettative ma ve l’avevamo detto: Mo Wagner sarebbe esploso prima o poi. Quando? Nel momento decisivo. Bastano i numeri perché sono impressionanti: 24 punti+ 15 rimbalzi. L’ultima volta che un giocatore aveva messo a segno almeno 20 punti e 15 rimbalzi in una partita? Correva l’anno 1983 e quel giocatore portava sulla canotta il nome di Hakeem Olajuwon. Wagner aveva già una doppia-doppia (11+11) alla fine del primo tempo, ma la svolta è arrivata nel secondo, aperto con questa giocata.

 

Negli ultimi 7 minuti di gara, poi, ha letteralmente preso la squadra per mano, mettendo in mostra tutto il suo repertorio: tiro da tre, presenza a rimbalzo, visione di gioco e tagli a canestro. In una parola: unstoppable. Comunque vada la finale, la NBA lo aspetta a braccia aperte.

 

Matthews l’X-factor

In una partita dove la coppia Zavier Simpson-Muhammad-Ali Abdur-Rahkman si è presa una giornata di vacanza (2/17 dal campo in due), è stato il solito Charles Matthews a rispondere presente: 9 punti nel secondo tempo, cioè quello decisivo che i Wolverines hanno chiuso con un parziale di 47-28. Per l’ala col numero 1 tanta difesa e la schiacciata che ha chiuso i conti a 1:35 dalla fine.

 

I ragazzi di coach John Beilein nel primo tempo sono stati solo difesa, visto che in attacco l’unica opzione contemplata (quando non si perdevano palloni) è stato il tiro da tre che ha fatto tutto meno che entrare (prima metà di gioco chiusa con il 29% dal campo). Insomma non fosse ancora chiaro, per come è andata la gara la coppia Wagner-Matthews meriterebbe come minimo la cittadinanza onoraria.

Un ottovolante chiamato Loyola

I primi cinque minuti di gioco preda della frenesia, poi 25 minuti a cavallo tra primo e secondo tempo giocati in puro stile Ramblers con una difesa pressoché impeccabile e un attacco che, nonostante qualche errore di troppo, girava in maniera decente. E infine 10 minuti finali di sostanziale black-out.

La cinderella di questa March Madness ha probabilmente pagato un po’ l’emozione da Final Four con una fase offensiva che ha faticato a trovare quella fluidità che l’aveva contraddistinta in stagione e nella sua cavalcata al Torneo, continuando con il problema palle perse (17), ma questa volta senza compensare con gli assist (solo 6). L’attacco è stato tradito dal trio Townes-Ingram-Richardson, nessuno dei quali ha mai dato la sensazione di essere davvero in partita, con il primo che ha sparacchiato in lungo e in largo (4/12 al tiro) e gli altri due che hanno avuto un approccio a dir poco timido (8 tentativi dal campo in due).

 

Gli unici promossi in casa Ramblers sono stati Cameron Krutwig e Clayton Custer. Il primo ha dimostrato come il talento vada al di là dei chili e della forma fisica e ha giocato una solida partita da 17 punti e 6 rimbalzi con lezioni da manuale del gioco in post. È solo un freshman con un talento e una comprensione del gioco degni di una power conference: non vediamo l’ora che arrivi la prossima stagione per tornare ad ammirarlo.

 

Custer, dopo un primo tempo un po’ anonimo, si è fatto sentire nei primi 10 minuti del secondo tempo guidando la squadra da leader. Poi però si è sciolto come tutta Loyola nel momento decisivo del match, facendo soffrire tutti gli appassionati che avevano puntato sugli sfavoriti, ma soprattutto la mitica Sister Jean.

 

 

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