Vince Carter è un giocatore che va oltre i tempi.
D’altronde, non sei un cestista qualunque se sei l’unico a giocare per quattro decadi e se sei l’unico a giocare 22 stagioni. O l’unico 43enne in campo dal 2007. Oppure, il terzo per partite giocate in NBA: 1541, alle spalle di Robert Parish e di Kareem. Pensare che, conti alla mano, avrebbe potuto superare Jabbar, distante solo 19 partite…
La grandezza di Carter, però, va oltre questo. Tocca, infatti, la sua abilità di trasformarsi continuamente durante tutto il corso della sua carriera, sia sul piano tecnico che su quello mentale.
1998 – 2004: DALLE SCHIACCIATE AL PERIMETRO
Arrivato dopo tre anni passati a North Carolina e indicato come naturale erede di Jordan, Vince Carter si è subito fatto vedere come un atleta di tutto rispetto e le sue performance lo insignirono Matricola dell’anno ‘98 – ‘99.
Da ricordare sono certamente la Gara delle Schiacciate del 2000 e le Olimpiadi dello stesso anno. Quella trasferta a Sidney, al fianco di Garnett, Ray Allen e (coincidenza…) Jason Kidd, si concluse con una schiacciata fantascientifica in testa a Frederick Weis della Nazionale francese e la medaglia d’oro al collo.
La schiacciata di Team USA
Slam Dunk Contest. Carter fece la storia e vinse la competizione.
Tecnicamente parlando, Vincredible è passato dalle 3 triple scarse prese nelle prime due stagioni alle oltre 5 dei due anni successivi (con quasi il 40% di efficienza), diventando sempre più un attaccante perimetrale. Toronto arrivò ai playoff nel 2000 e nel 2001, dando vita a un’epica sfida in semifinale contro Iverson e i Sixers conclusa solo in Gara 7. Da qui, la magia finì: Toronto mancò i playoff per tutte le ultime tre stagioni dell’era Carter.
È sul piano mentale, però, che Vince Carter ha dato un contributo unico nel suo genere: ha fatto da ispirazione per la futura generazione di cestisti canadesi e ha unito il Canada intero attorno ai Raptors. Senza Carter, è difficile immaginare Jamal Murray, RJ Barrett e Shai Gildeous – Alexander (tra i 22 giocatori canadesi attualmente in NBA) sul parquet, così come sarebbe stato difficile avere Nav Bathia nella Hall of Fame e Jurassic Park così unita durante le ultime Finali.
Please read my letter @mrvincecarter15 #vinsanity #halfmanhalfamazing #vincecarter pic.twitter.com/6GfxKWQZi5
— K_January (@K_January2020) April 6, 2020
2020: Una lettera di quella che si definisce la più accanita tifosa di Carter.
2004 – 2009: AI NETS BESTIA NERA DEI RAPTORS
Passato a New Jersey in una burrascosa trade di dicembre, Vince Carter era visto come il complemento perfetto per Richard Jefferson e Jason Kidd dopo l’addio di Kenyon Martin a inizio anno.
Ma quei Nets non si affermarono mai davvero: spazzati via 4 – 0 al primo turno da Miami nel 2005 (nonostante un mitico buzzer beater per portare gara 3 al secondo supplementare), sempre da Miami in semifinale nel 2006 e da Cleveland nel 2007. L’anno dopo Jason Kidd fu ceduto ai Mavericks e Richard Jefferson volò a Milwaukee.
Ma se c’è una cosa da dire è che Carter, in quei anni in New Jersey, si tolse molti sassolini dalla scarpa nei confronti del suo ex team. In primis, in trasferta in Canada l’8 gennaio 2006. Toronto sotto di due, e Carter confesserà poi questo dialogo con coach Lawrence Frank:
LF: “Vince, se Calderon sbaglia il libero, tira da due per il supplementare. Andiamo a vincere”.
VC: “Vado per la pugnalata. Se sbaglio, sbaglio. Se vinco, torniamo a casa da eroi”
I Nets nei playoff 2002 batterono proprio Toronto 4 – 2 e l’anno dopo, il 21 novembre 2008, Carter fece la storia. Sotto di 18, i Nets rimontarono. Vincredible concluse quella partita con il massimo in stagione (39 punti), la tripla per il pareggio allo scadere del quarto quarto e la schiacciata della vittoria all’overtime.
2009 – 2011: L’ANONIMATO A ORLANDO E PHOENIX
Nell’estate del 2009 Vince Carter fu ceduto a Orlando per sopperire l’addio di Turkoglu in free agency. Ma il suo arrivo in Florida non portò molti risultati: nel 2010 i playoff finirono in semifinale di conference contro Boston. A dicembre 2011 arrivò ai Suns nell’affare che portò Gilbert Arenas in Florida: fino a quel momento, a Orlando stava registrando la maggior efficienza in tutta la sua carriera, con il 47% dal campo. Quella in Arizona fu una presenza più economica che di impatto. Quei Suns non arrivarono alla post season e Carter, a luglio, fu tagliato. Unica nota positiva: arrivò a 20mila punti realizzati in carriera, in una vittoria contro i Knicks il 17 gennaio 2011.
2011 – 2014: CECCHINO A DALLAS
A Dallas, Carter rivitalizzò il suo stile di gioco e permise a Nowitzki di avere un valido sostegno in uscita dalla panchina. Vincredible toccò il 43.5% dal campo, dimostrandosi valido tanto dentro quanto fuori dall’arco. Soprattutto da 3 punti, in 25 minuti di campo ebbe la media dei 4.3 tiri (oltre 6 a partita raffrontando con i minuti medi a Toronto), realizzati con il 39% di efficienza. Il primo anno i playoff finirono con un cappotto da parte di Oklahoma City, il secondo (complice l’addio di Jason Terry) non arrivò nemmeno la post season.
Il terzo anno, però, fu ottimo: l’arrivo di Monta Ellis permise ai Mavericks di arrivare ai playoff e di venire battuti dai futuri campioni di San Antonio solo in Gara 7 del primo turno. Da ricordare, di quella serie, fu Gara 3: Ellis mise 29 punti, ma il colpo di grazia fu proprio di Carter. Una tripla da Oscar sulla sirena per dare a Dallas il 2 – 1 nella serie.
2014 – 2017: LEADER EMOTIVO A MEMPHIS
L’arrivo a Memphis di Vince Carter lo rese parte del celebre Grit & Grit, la dura filosofia dei Grizzlies. Tre anni di playoff e medie di punti sotto i 10 a partita potrebbero far sembrare il periodo un fiasco, ma la verità è un’altra. Nel 2016 Carter vince, infatti, il Twyman – Stokes Award come miglior compagno di squadra. Vince diventa un mentore, un leader dentro lo spogliatoio amato da tutti i compagni di squadra. E torna anche a volare sopra il ferro…
2017 – 2020: MENTORE DEI GIOVANI A SACRAMENTO E ATLANTA
Gli ultimi anni della carriera di Carter seguono il percorso intrapreso a Memphis, dedicandosi più allo sviluppo dei nuovi giocatori che non alle proprie statistiche personali. Vince, nel 2017, il premio di Giocatore più rispettato.
Contro Cleveland, il 27 dicembre 2017, diventa la prima riserva quarantenne a segnare oltre 20 punti: sono infatti 24 con 10 – 12, in 30 minuti uscendo dalla panchina. Ad Atlanta supera Jabbar diventando il 41enne più anziano a fare oltre 20 punti e diventa il più anziano a 42 anni a segnare sette triple in una partita.
Oltre 25mila punti in carriera…
The Spurs show love to Vince Carter 🙌
(via @spurs) pic.twitter.com/qsAKzYxjME
— NBA on ESPN (@ESPNNBA) January 18, 2020
Il video tributo di San Antonio all’ultima partita di Carter all’AT&T Center
Il tributo della Scotiabank Arena di Toronto all’ultima partita di Carter in Canada.
Ma Carter è, ormai, a tutti gli effetti un maestro per i giovani, specie ad Atlanta: Trae Young lo esalta, mentre John Collins ha solo parole di elogio per lui e per il suo veterano.
Di queste due stagioni il momento che più salta all’occhio è, ovviamente, quello del 12 marzo 2020. L’ultima partita della NBA in questa stagione a causa della sospensione per via dell’emergenza coronavirus è Hawks – Knicks al Garden. Vincerà New York, ma Carter mette, alla fine della partita, una tripla acclamata dal pubblico come se fosse stato il buzzer beater contro San Antonio ai Mavericks. O quello contro Toronto del 2008. O la schiacciata su Weis.
L’ultimo tiro della stagione NBA 2019 – 2020 è, forse, l’ultimo tiro della carriera di Vince Carter.
Finale più bello non si poteva avere.
L’ultima partita prima della sospensione. A 9:51, l’ultimo tiro di Carter.