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Caitlin Clark e Ayoka Lee, record mostruosi al femminile

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 24 Gen, 2022

Le pagelle di questa settimana iniziano al femminile, con due giocatrici – Caitlin Clark e Ayoka Lee – che hanno stabilito record che saranno molto difficili da eguagliare in futuro. Altrettanto obbligatoriamente, andiamo poi a chiudere con due coach dai risultati magri e dalle uscite discutibili in sala stampa.

 

Caitlin Clark (Iowa) e Ayoka Lee (Kansas State). Se pensavate che l’infortunio di Paige Bueckers potesse minare lo spettacolo della NCAA femminile, vi sbagliavate di grosso. Il campionato pullula di stelle e ciò che si è visto nei giorni scorsi ne è una dimostrazione lampante. Caitlin Clark, non un nome nuovo per chi ci legge, ha chiuso la settimana in maniera normale, che però per lei significa mettere insieme 18 punti, 8 rimbalzi, 7 assist con Illinois. Le precedenti due gare? 31/10/10 con Nebraska e 35/13/11 con Minnesota, prestazioni che l’hanno fatta entrare in un Olimpo che fino a poco fa apparteneva solo a una manciata di atleti NBA, cioè quello dei giocatori capaci di piazzare due triple doppie consecutive con oltre trenta punti segnati. Poi domenica è arrivata anche Ayoka Lee a far parlare di sé con una performance monstre: 61 punti di una precisione allucinante (23 su 30 da due, 15 su 17 ai liberi) con Oklahoma per la junior di K-State, che già contava altre 6 gare chiuse sopra i trenta punti quest’anno. Si tratta del nuovo record all-time per la D1 femminile, che prima apparteneva a Cindy Brown (Long Beach State, 1987), la quale però impiegò due supplementari per toccare quota 60. Lee ci è riuscita in 35 minuti.

Isiaih Mosley (Missouri State). In questa settimana non vedrete più il nome di Loyola in Top 25 e i responsabili di ciò sono i Bears, corsari a Chicago (79-69) con la loro guardia-ala titolare che ha segnato più di metà dei loro punti: 40, per la precisione, fatti di apparente onnipotenza realizzativa (11/15 da due, 3/7 da tre, 9/11 ai liberi). Strepitoso intorno al canestro fra manovre di avvicinamento in palleggio, finte per far saltare il difensore, floater stupendi anche da 4-5 metri. Poi a condire il tutto metteteci pure, per esempio una tripla in step back eseguita alla perfezione, di quelle che ti fanno disperare quando le prendi in faccia. Prestazione da una volta nella vita? Macché. Nelle ultime 5 gare il junior ha messo insieme 34.4 punti di media col 62.5% al tiro. E chi lo ferma?

Auburn. Ci è voluta un po’ di fortuna (l’infortunio di TyTy Washington e le botte prese da Sahvir Wheeler), ma con Kentucky i ragazzi di Bruce Pearl sono stati a bravi nel cogliere l’occasione e rimanere lucidi, battendo la principale antagonista della SEC. Palazzo infuocato, Jabari Smith meraviglioso nel finale con un paio di giocate da prima scelta assoluta al prossimo Draft. Walker Kessler è un giocatore fuori scala su entrambi i lati del campo e poi c’è tutta una serie di comprimari che, di volta in volta e a seconda i momenti della partita, si prendono la scena: KD Johnson ad inizio partita, Wendell Green nel finale. I Tigers non sono più solo la classica mina vagante per marzo e ora molto probabilmente saranno loro a prendersi la #1 nella Top 25.

Boise State e Wyoming. In preseason non ci saremmo mai immaginati di vedere queste due qui come ultime imbattute in gare di conference nella Mountain West. E ne rimarrà soltanto una, perché martedì c’è in programma lo scontro diretto che sarà un vero clash of styles. Boise State ospiterà Wyoming forte di una striscia positiva che dura da ben 12 gare, le ultime due vinte su campi difficili, ossia quelli di Utah State (gara in cui Mladen Armus ha collezionato una serie incredibile di rimbalzi offensivi) e San Diego State (partita da battaglia in trincea, finita col punteggio di 42-37). I Cowboys, dal canto loro, sono 15-2 in stagione (hanno perso soltanto con Arizona e Stanford) e vantano un attacco che si è fatto sempre più prolifico ed efficiente col passare delle settimane.

Kyler Edwards (Houston). Il volto-copertina di una squadra dell’American che, pur perdendo giocatori chiave, non piagnucola, anzi si rimbocca le maniche e continua a vincere (ogni riferimento a Memphis e Penny Hardaway è puramente voluto). Le ultime tre gare della guardia texana: 29, 23, 25 punti bombardando dall’arco con grande naturalezza (19 su 37 in totale!). Intanto i Cougars mantengono una striscia vincente di 9 partite, 6 delle quali vinte nella AAC dopo aver perso il proprio backcourt duo titolare. Merito dell’ex Texas Tech, appunto, e di coach Kelvin Sampson, che ha ancora una volta messo insieme le pedine giuste per tirare avanti anche in mezzo alla tempesta, a suon di prestazioni difensive mostruose: 55 punti concessi a South Florida e 36 a East Carolina in settimana.

Luka Brajkovic (Davidson). I Wildcats salgono a quota 15 vittorie consecutive (li vedremo in Top 25 ora? Forse no, ma per noi lo meriterebbero) grazie a due vittorie in trasferta strappate con un solo possesso di scarto e nelle quali l’apporto del lungo austriaco è stato determinante. Con VCU, ha segnato 11 dei suoi 19 punti negli ultimi 7 minuti (su 14 messi a referto da Davidson) mentre con Fordham ha animato la rimonta dei suoi piazzando 18 dei suoi 21 punti negli ultimi 15 minuti. Brajkovic è nel suo periodo di massimo splendore, abbinando al suo già famoso footwork in area una precisione dall’arco che, fino a quest’anno, gli era in parte sconosciuta: 41% su 2.2 tentativi, nell’ultima gara si è visto addirittura un catch-and-shoot in movimento.

Rob Phinisee (Indiana). Ha aperto e chiuso la settimana con prestazioni anonime, zero punti in una vittoria con Nebraska e due in una sconfitta con Michigan, ma nel mezzo ne ha sfoderata una che rimarrà memorabile per i tifosi di Indiana: 20 punti dalla panchina contro Purdue, 17 nel primo tempo per mettere subito le cose in chiaro coi rivali (della serie: qui non si passeggia quest’anno) e poi una tripla clutch nei secondi finali che ha permesso agli Hoosiers d’interrompere una striscia negativa in questo sentitissimo derby che durava da ben 9 gare.

Florida State. Sabato con Miami ha rischiato di combinarla grossa, quasi buttando al vento una gara che aveva condotto anche di 26 punti. Alla fine però l’ha vinta e siamo qui a contare ben 6 successi consecutivi tra cui l’upset rifilato a Duke a inizio settimana. Il freshman Matthew Cleveland e l’ex Houston Caleb Mills sono stati tutt’altro che perfetti contro i Canes ma nel complesso sembrano essersi sbloccati, il che dovrebbe consentire a FSU di stare finalmente sui livelli che pronosticavamo in preseason.

Michigan. Affrontava questa settimana con lo spauracchio dello scendere sotto quota .500. La risposta è stata due vittorie con venti punti di scarto contro Maryland e Indiana che, a pochi giorni di distanza, hanno battuto due squadre del ranking come Illinois e Purdue. Hunter Dickinson dominante, capace anche di punire le difese da lontano (quattro triple e un paio di long-two) e di innescare il giro palla degli esterni dei Wolverines che hanno visto la luna da tre (52%). Segnali di risveglio anche da Caleb Houstan, relegato al ruolo da tiratore. Sabato arriva il derby contro una Michigan State galvanizzata. Sono sfavoriti, ma qualche lumicino di speranza c’è.

Villanova. Non è andata benissimo, ma poteva andare peggio. Striscia vincente nella Big East chiusa a quota 6 W per colpa di Marquette e della sua difesa asfissiante che ha scombussolato i Cats in casa propria durante i minuti finali – tanto di cappello ai Golden Eagles che hanno messo in fila tre gran belle vittorie e che potrebbero pure fare capolino in Top 25 prima o poi. Poi nel weekend si è presentato addirittura lo spettro della seconda sconfitta di fila, sotto di 3 punti all’intervallo con Georgetown. I big three di Nova hanno però fatto il proprio dovere (28 punti di Collin Gillespie, 19 di Justin Moore, 18 di Jermaine Samuels) e traghettato la squadra al successo con una gran ripresa. Magari non sembra, ma anche questa è una vittoria da Villanova.

Paul Scruggs (Xavier). È uno dei giocatori chiave dei Moschettieri ed è chiaro che, se non gira lui, la squadra fa fatica, pur avendo altre frecce in faretra. Nelle ultime uscite il super senior è apparso un po’ appannato. Pessime scelte nel finale della gara persa contro Marquette e soprattutto errori dalla lunetta inusuali per lui e che sono costati cari. Nelle ultime due gare ha messo insieme un 4/10 dalla linea della carità.

Illinois. Restando in tema di giocatori fondamentali che se spariscono son dolori, non possiamo non parlare di Kofi Cockburn e dei suoi Illini. Il candidato POY non ha retto il confronto coi super lunghi di Purdue, limitato e poi estromesso dalla gara per problemi di falli. Non vogliamo fargliene troppo una colpa, visto che nella partita in questione ha rimediato una commozione celebrale che gli ha fatto saltare il successivo incontro con Maryland. Se Illinois, pur perdendo, aveva tenuto botta alla grande senza di lui coi Boilermakers, si è invece sciolta come neve al sole con una formazione mediocre come quella dei Terrapins (81-65). Insomma, non benissimo.

San José State. Premessa doverosa: Tim Miles è un bravo coach che già adesso sta raddrizzando la rotta di un programma malandato come SJSU. Il nuovo anno però non ha sorriso per niente agli Spartans ed è impossibile ignorare lo 0-5 messo insieme fin qui nella Mountain West, anche perché parliamo di sconfitte che vanno dal netto alla débâcle completa. La squadra tira tanto da tre – è questa la sua forza – e nella prima metà di stagione lo faceva bene, talvolta pure in maniera strepitosa. Nella gare di conference, però, siamo sul 31.9%. Brutto segno.

Efton Reid (LSU). Terza sconfitta di fila per i Tigers, privi della loro PG titolare (Xavier Pinson) e con un Darius Days a mezzo servizio. Tari Eason continua a dominare, ma senza le due spalle l’attacco di LSU precipita (84.5 di ORtg). Poteva essere Efton Reid il giocatore capace di fare un passo in avanti, di sopperire a queste mancanze. Così non è stato: il freshman continua, sì, ad essere il totem difensivo della migliore difesa della nazione, ma in attacco ha aggiunto poco e nulla ad una squadra che aveva disperato bisogno di punti. Anzi, è riuscito anche ad accumulare falli con alcuni blocchi irregolari, chiudendo la settimana con più falli fatti (9) che punti segnati (8).

Gli arbitri Rutgers-Iowa. Rutgers, brava nel mettere le manette ai polsi di Iowa, magari meritava di vincerla lo stesso, ma non così. Sul 46 pari e con 1.9 secondi da giocare, gli arbitri hanno mandato in lunetta Ron Harper Jr. (che ha messo i due liberi decisivi) punendo Keegan Murray per un contatto leggerissimo, di quelli veniali in un finale punto a punto, perlopiù di una gara che era stata ultra fisica in tutta la sua durata. Fischietti pessimi.

Gabe Kalscheur (Iowa State). I Cyclones sono probabilmente la squadra più forte della nazione ad essere 2-5 in conference. La Big 12 è micidiale e lo diventa ancora di più se il tuo secondo miglior scorer mette insieme un 4 su 20 al tiro nel giro di quattro giorni, affossando così le quotazioni di una squadra che ad inizio gennaio era imbattuta. Sia Texas Tech che TCU hanno una difesa Top 15 per i numeri di KenPom, ma non è proprio contro questo tipo di squadre che i grandi giocatori fanno la differenza?

Hubert Davis (North Carolina). Doppietta di trasferte da incubo per UNC: -28 con Miami e -22 con Wake Forest. Vogliamo concedere il beneficio del dubbio sull’operato di un head coach al primo anno, in una piazza complicata come Chapel Hill? Certo che sì. Quel che non ci piace molto invece è l’accampare alibi anziché dare spiegazioni. Dopo Miami, Davis si è detto deluso dalla mentalità della squadra (ok, ma non è tipo parte del tuo lavoro?). Dopo WF, ha detto che i suoi giocatori non sono abbastanza atletici e che quelli avversari si erano dimostrati migliori (sì, quelli di Wake Forest, avete capito bene). Scegliete voi quale delle due affermazioni è la più indifendibile.

Penny Hardaway (Memphis). La sparata della settimana – probabilmente dell’anno – è sua. Dopo la sconfitta con SMU (terza di fila, striscia poi interrotta battendo Tulsa sul filo di lana) si è presentato ai giornalisti con l’aria afflitta, esausta, lasciandosi andare a uno sfogo di quelli rari quando gli è stato chiesto se si sentisse ancora in grado di raggiungere gli obiettivi che si era prefissato: “Stop asking me stupid fucking questions about if I feel like I can do something. If I had my roster like they did, then I feel like I can do whatever I want to do”. In parte avrebbe anche ragione, solo che non è né l’unico né il maggiormente colpito dagli infortuni (Houston, ricordate?) e i ragazzini ai quali fa riferimento sono comunque dei 5-star, non proprio dei pischelli presi a caso per strada. Può e deve fare di meglio sia sul campo che in sala stampa.

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