La rivoluzione dell’Ncaa vista da dentro, attraverso gli occhi di chi la deve gestire: Luca Virgilio è da questa stagione il general manager di Nebraska, l’università pubblica più importante dello stato che ha sede nel cuore del freddo Midwest americano e che gioca nella prestigiosa Big Ten. Arrivato 12 anni fa dall’altra parte dell’oceano, il coach romano ora diventato dirigente ci aiuta a capire tutte le difficoltà di un mondo complesso come quello del college basket e come un’enorme quantità di soldi abbia cambiato tutte le regole del gioco.
Ecco la prima parte del suo racconto, dall’arrivo a Lincoln alle infinite telefonate per costruire la squadra allenata da un grande coach come Fred Hoiberg.
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Assieme a Riccardo Fois, sei uno dei pochi italiani arrivato negli Stati Uniti non come studente-giocatore ma come graduate assistant, cioè come studente-coach. Come sei arrivato a New York?
Ho iniziato la mia carriera sportiva tra la Stella Azzurra a Roma e Eurohoops, che è un sito di scouting europeo. Dodici anni fa non c’era un interesse così grande come ora per reclutare giovani europei, era un mondo più misterioso quello del basket europeo e c’erano giusto i primi college che iniziavano a reclutare ragazzi internazionali. Io ero uno degli ‘esperti’ del basket giovanile europeo, delle annate under 16 e under 18 potenzialmente eleggibili per il college, comincio quindi a crearmi un network di persone in Europa e nello stesso tempo comincio a parlare molto con i college americani fino a che St John’s mi offre una posizione di graduate assistant, chiamiamola una posizione entry level con un piccolo stipendio ma con il master pagato per due anni. Ho detto di sì un pochettino a scatola chiusa, avevo il sogno di lavorare in Nba e fare l’international scout ma era difficile dire di no a New York e St John’s.
Hai passato 5 anni a St John’s lavorando principalmente con Chris Mullin in una conference come la Big East, qual è il bilancio del tuo primo pezzo di carriera americana?
Sono stato assunto da Steve Lavin e il primo anno avevamo una squadra di alto livello, poi è arrivato Chris Mullin, una leggenda mondiale del basket, ho avuto la fortuna e il piacere di lavorare con lui per 4 anni. Due anni di alti e bassi, poi due anni un po’ meglio, abbiamo battuto Villanova due volte quindi qualche soddisfazione ce la siamo tolta. Sono stati anni molto divertenti, un percorso di iniziazione al college basket durante il quale ho imparato tante cose da persone speciali che mi hanno insegnato tanto e mi hanno permesso di arrivare dove sono oggi.
E arriviamo alla tua seconda tappa. Da due metropoli come Roma e New York, sei arrivato a Lincoln, pieno Midwest. Com’è stato il passaggio nel Nebraska?
A mia moglie dico che, continuando a spostarci verso ovest, la speranza è che il prossimo sia un posto un po’ più caldo…Quando ero a St John’s, andavo una volta all’anno a giocare contro Creighton (che ha sede a Omaha, la principale città del Nebraska), di solito a metà gennaio, e le temperature erano tra i -15 e i -30 e a volte arrivavano avvisi che ti dicevano di non lasciare l’hotel perché, se uscivi per 10 minuti, morivi congelato. E ogni volta che andavo lì, mi dicevo: ‘no ma chi ci vuole venire a vivere in un posto così, che roba terrificante’. Qualcuno deve avermi sentito…(sorride) A St John’s avevo stretto un ottimo rapporto con Matt Abdelmassih, un assistant coach che aveva lavorato per Fred Hoiberg a Iowa State e che Hoiberg ha poi portato a Nebraska. Mi hanno chiamato subito dopo il suo arrivo e sono venuto qui a Lincoln, che ha 300mila abitanti quindi non è piccola, ma è nel mezzo del nulla, nel pieno Midwest, però è uno di quei posti dove è tutto facile, non c’è traffico, tutto a 15 minuti di macchina, si vive molto bene, tutto molto rilassato. Non c’è molto da fare ma, se vuoi concentrarti sul lavoro, è difficile trovare un posto migliore.

Il campus dell’University of Nebraska a Lincoln
Hai convinto anche tua moglie alla fine?
Non era molto contenta, inizialmente mi ha guardato come se avessi tre teste: ‘Ah quindi dobbiamo spostarci da New York che è la città più bella del mondo in Nebraska? Non penso proprio’. Però alla fine le piace sempre di più e ora, con un bambino di due anni, qua le cose sono tutte più semplici, è tutto molto a misura di famiglia.
Coach Hoiberg è un pioniere, uno che ci aveva visto lungo dieci anni fa quando ad Iowa State costruiva i roster con i transfer: che tipo è e com’è lavorare con lui?
Sicuramente è stato un pioniere, anche con un background abbastanza unico: ha giocato in Nba, è stato capo allenatore in Nba, è stato general manager in Nba, è stato capo allenatore al college quindi ha un background talmente vasto che ha una conoscenza del basket davvero ampia. Ai tempi di Iowa State ricorrevano molto ai transfer perchè era difficile reclutare giovani di alto livello e convincerli ad andare lì e quindi ha creato questo modello basato moltissimo sui transfer che ha funzionato ed è stato poi un modello copiato e incollato da tutti gli altri fino a oggi, con il 60-70% dei roster composti da transfer. Il vantaggio di avere Hoiberg è la sua capacità di creare roster che si amalgamano bene, con tanta esperienza alle spalle.

Fred Hoiberg e Luca Virgilio
Dopo sei anni come assistant coach, sei diventato general manager e ti occupi di tutti gli aspetti fondamentali nella costruzione e nella gestione della squadra. Come mai questo cambio di ruolo?
In realtà io sono sempre stato più sulla parte manageriale, e poi adesso il college basket sta attraversando una fase di trasformazione, si possono pagare i diritti di immagine da alcuni anni e si sta professionalizzando il mondo collegiale anche se, a livello puramente tecnico, non sono giocatori professionisti. Ormai la maggior parte delle squadre universitarie sta creando dei veri e propri front office, perchè ogni primavera con l’apertura del portal c’è una vera e propria free agency e quindi avere un general manager è diventata una necessità essenziale per le squadre di alto livello, perché c’è bisogno di qualcuno che si occupi solo ed esclusivamente del roster management. Come minimo hai 6-7 transfer e il successo risiede nella capacità di scegliere i transfer giusti e farli amalgamare insieme e quindi il general manager si occupa della gestione del mercato.
Tu hai moltissimi compiti, vediamoli insieme e aiutaci a capire quanto sta cambiando questo mondo. Partiamo dal recruiting: ormai i giocatori forti si trovano solo nel portal o vai a pescare anche nelle high school e tra gli international?
Dipende, ci sono diverse categorie. Ormai al giorno d’oggi per vincere al college devi avere giocatori d’esperienza nella maggior parte dei casi. E’ sempre più difficile vincere con i one and done, puoi averne qualcuno di alto livello ma quello che faceva John Calipari fino a qualche anno fa, cioè avere una squadra composta da freshman, è quasi impossibile da ripetere oggi. Ci sono nella Division I giocatori di 23-24 anni e quindi, anche se hai un giocatore di estremo talento di 18 anni, sei anni di differenza sono importanti. Quindi, per restare competitivi ‘you gotta stay old’, come dicono qua. E per restare old, devi andare a prendere giocatori nel transfer che ti permettono di restare competitivo ogni anno e solo poi, solo poi poi, vai a vedere il mercato delle high school, quello degli international, quello dei junior college. E poi devi cercare di tenere quelli che ritieni forti, e quella è la cosa più difficile. Quindi, numero 1: tenere quelli che hai che sono forti. Numero 2: andare a riempire i buchi che hai con dei transfer. Numero 3: andare a vedere cosa c’è di disponibile nel mercato degli international e delle high school.
E’ una quantità enorme di giocatori da tenere d’occhio, come si fa?
Ho uno staff, come dicevo si deve creare un front office perché, quando si apre il portal, ci sono 2000 e passa giocatori dentro e non è che ti svegli la mattina e vai a vedere chi c’è dentro, già lo sai. E quindi è un lavoro che si fa durante tutto l’anno, si crea un database di giocatori da seguire e poi abbiamo assistenti allenatori, graduate assistant, altre persone dello staff e tutti insieme componiamo questo database di giocatori che seguiamo, come crescono e come si sviluppano.

Luca Virgilio in campo
E poi bisogna portarli a Lincoln. Quanti giocatori avete contattato per mettere insieme il roster di quest’anno?
Tanti, è una giungla, non saprei nemmeno dire un numero. Nel momento in cui compare il nome di un giocatore in questo portale virtuale, tutti lo possono chiamare e questo giocatore riceverà 50-100 telefonate. Poi devi chiamare l’agente, poi devi chiamare la mamma, poi devi chiamare il papà, poi lo zio, la zia…quindi il numero di telefonate che fai è infinito ed è non stop, non ti fermi un secondo. Per avere successo, devi avere le idee chiare e non sprecare tempo, chiami solo quelli che vuoi veramente, avendo un numero di opzioni abbastanza ampio perché devi essere pronto a ricevere dei no e avere nomi alternativi per quel tipo di giocatore. Creiamo i profili dei giocatori di cui abbiamo bisogno, per esempio un 4 che tira da fuori o un 3 superatletico che difende, e in base a quei profili abbiamo una lista di 4-5 nomi che chiamiamo. E poi devi mantenere il rapporto, perchè c’è la prima telefonata, poi li vai a vedere di persona, poi li devi portare qua cercando di evitare che altre università si intromettano e prendano il sopravvento .Quindi è una vera e propria giungla, devi cercare di avere il numero maggiore di informazioni possibile e avere i profili realistici che puoi andare a prendere, tanto non è che Nebraska va a prendere Cooper Flagg. Bisogna essere realistici negli obiettivi e valorizzare il tempo che hai disposizione perché non c’è risorsa più importante del tempo.
E come si fa a convincere i giocatori a restare, e cioè a costruire una squadra cercando di non cambiarla radicalmente da una stagione all’altra?
La cosa importante è avere risultati, vincere, è quello che conta di più per la maggior parte di questi ragazzi, oltre alla capacità di trasformarli in giocatori professionistici, che siano da Nba o di alto livello in giro per il mondo. E poi, ovviamente, adesso si parla di soldi, quindi avere un budget importante che ti permette di pagare. È un lavoro, no? Devi essere competitivo sotto tre diversi aspetti e, ovviamente, devi cercare di creare un rapporto umano, far sì che abbiano una bella esperienza e costruirgli un progetto a lungo termine.
E’ fondamentale il coach in tutto questo
Ovviamente, tutto gira attorno a Hoiberg perché è lui la benzina che fa girare il motore, è la persona con tutti i contatti Nba. Nebraska non è mai stata famosa per mandare giocatori in Nba, ma negli ultimi anni abbiamo avuto giocatori che sono stati draftati, giocatori presi nella G League: Bryce McGowens è stato draftato, Dalano Banton è stato draftato, Keisei Tominaga, che è meno atletico di me, ha firmato un contratto two way con i Pacers l’anno scorso e adesso farà di nuovo la Summer League, ne abbiamo altri tre che faranno la Summer League quest’anno. Quindi è un cambio importante rispetto al passato. Abbiamo tanto spazio qua in Nebraska, abbiamo la fortuna di avere delle strutture di allenamento tra le migliori degli Stati Uniti, abbiamo la possibilità e la fortuna di avere una fan base molto calda con 15mila spettatori fissi e sono cose che noi vendiamo molto quando andiamo a parlare con i giocatori..
(CONTINUA)