Il Champions Classic ha mostrato una Kansas che sta una spanna sopra a tutte le altre squadre al momento. Le pagelle della Week 2 non possono che iniziare con l’incoronazione dei Jayhawks.
Kansas. Dajuan Harris, forse, non tirerà mai più così. Hunter Dickinson non potrà fare sempre 20+20 e Kevin McCullar non viaggerà in tripla doppia di media. Ma la sensazione post Champions Classic è che in molti stanno dando per scontato quanto sono forte questi tre, più KJ Adams. Sono bastati loro per avere la meglio di una Kentucky supersonica ma acerba. Le difese difficilmente scommetteranno ancora sul tiro di Harris, Adams è perfetto per giocare nelle pieghe delle attenzioni riservate a Dickinson e McCullar ha ancora delle marce da ingranare. Solo in quattro ne hanno messi 89 e battuto una squadra che farà danni in stagione.
Tyler Kolek (Marquette). Caviglia gonfia come una zampogna? Nessun problema: il buon Tyler scende comunque in campo e piazza 24 punti, 6 rimbalzi e 4 assist. Contro un ranked team. In trasferta davanti a 15mila spettatori. Senza di lui, probabilmente solo un miracolo avrebbe consentito a Marquette di vincere con Illinois. Prendete tutti gli aggettivi positivi, tecnici e caratteriali, che si possono spendere per un giocatore di basket e avrete comunque più che ottime possibilità di usare quelli giusti per la point guard dei Golden Eagles. Oppure affidatevi a tre semplici parole: forte da morire.
Tristen Newton (UConn). L’anno scorso era il complemento perfetto di un quintetto perfetto. Ora è il leader veterano capace di fare le cose che servono per battere Indiana al Madison Square Garden. In una partita bruttina e difensiva che gli Huskies giocavano senza Stephon Castle (in dubbio per le prossime due settimane), è stato il super senior a tenere in piedi la baracca annullando gli esterni d’Indiana e colpendo in maniera aggressiva in attacco. Sprint in transizione, viaggi in lunetta perenni, assist al bacio per il pop di Alex Karaban o per le uscite di Cam Spencer. Puntuale, preciso, vincente.
UNC Greensboro. Solo due possessi hanno deciso in suo sfavore la gara con Vanderbilt, ma UNCG si è rifatta con gli interessi collezionando uno scalpo di marca SEC ben più nobile di quello dei Commodores, ovvero quello di Arkansas. Tante triple, tanti assist e non troppe perse, grazie al contributo fondamentale di Keyshaun Langley (23 punti e 5 assist). Ingredienti del successo, questi, che sono mancati fatalmente agli avversari. L’hanno persa i Razorbacks o vinta gli Spartans? Un po’ entrambe, ovvio, ma soprattutto la seconda. Occhio anche a loro in una SoCon aperta ai pronostici.
Marcus Tsohonis (LBSU). La partita per Long Beach State non è iniziata finché non ha iniziato a carburare lui. Lontano dalla palla, in disparte, ha sfidato la difesa di Michigan a suon di tagli, finte ed esitazioni al palleggio. Il risultato finale sono stati 35 punti e upset per un giocatore sempre in controllo capace di rendere naturali anche soluzioni non banali e finendo con un bel 12 su 19 al tiro. Il capellone rasta e l’aria sorniona non attirano le attenzioni in campo, ma la sua forza fisica e il suo palleggio hanno spazzato via ogni difensore che Michigan ha messo sulle sue tracce.
Phil Martelli Jr. (Bryant). Diventato head coach a tutti gli effetti in settimana dopo le dimissioni di Jared Grasso, il quale era in congedo pagato da settembre, lui va a Boca Raton con una squadra piena di problemi e rifila la prima sconfitta stagionale a Florida Atlantic, #10 della AP Poll. Il padre, allenatore leggendario ora braccio destro di Juwan Howard a Michigan, non ha mai battuto una Top 10 in trasferta in 23 anni da capoallenatore di Saint Joseph’s. Un inizio di carriera a dir poco promettente.
Kadin Shedrick (Texas). Il lungo ex Virginia si è trasferito ad Austin per avere più spazio e in effetti è diventato un perno dell’attacco dei Longhorns. Contro Louisville, è sembrato a tratti Hakeem Olajuwon. Movimenti in post a destra e a sinistra, svitamenti, jump dai tre metri. Un incubo per la difesa dei Cardinals che le hanno provate tutte per fermarlo. Alla fine 27 punti con 11/14 da due, 7 rimbalzi, 1 stoppata e 3 recuperi. Totale.
Andrej Stojakovic (Stanford). Sarà cresciuto negli USA ma la faccia tosta è tutta balcanica. La settimana dei Cardinal è stata così così (sconfitta con Santa Clara, poi vittoria con EWU) ma il freshman ha brillato sempre, con due prove efficienti da 18 punti ciascuna. La tecnica di tiro è buona abbastanza da rendere orgoglioso papà Predrag, l’arresto-e-tiro dalla media è velenoso e le capacità di controllo del corpo combinate alle sue intuizioni ne fanno anche uno slasher rispettabile. Per ora benissimo così, ma probabilmente c’è qualcosa di più in canna.
Penn. Occhio a festeggiare troppo. La vittoria nel Big 5 con Villanova – cosa che capita una volta ogni tot anni – aveva trasformato The Palestra in una bolgia impazzita lunedì scorso, giustamente. Poi arriva il weekend e i Quakers mettono su una fiera delle superficialità cestistiche, andando a perdere con Maryland Eastern Shore, ovvero la #350 (su 362) di KenPom in quel momento. I tifosi finiranno per ricordare più il primo che il secondo risultato ma coach Steve Donahue probabilmente no.
Nimari Burnett (Michigan). 13, 0, 21, 5. Questi i punti segnati nelle prime quattro gare. Riuscirà questo senior, giunto al suo terzo college, ad esplodere finalmente? Non lo sappiamo, visto che la continuità non è di casa neanche nella stessa partita. Ai 20 scintillanti punti, fatti di triple e tagli perfetti, del primo tempo contro St. John’s è seguito un misero punticino nel secondo tempo e poi ancora solo 5 nella sorpresa patita da LBSU. Nel backcourt, Dug McDaniel è una sicurezza ma l’ex Texas Tech e Alabama ha qualcosa in più da dimostrare.
Chris Ledlum (St. John’s). Segnali di ripresa per il mezzo lungo utilizzato come 4 da coach Rick Pitino. Contro Utah il tabellino lo salva, ma restano amnesie difensive incredibili e selezione di tiro rivedibile. Dall’inizio della stagione il transfer è stato (finora) un punto debole per St. John’s nonostante Pitino sia costretto a tenerlo in campo 30 minuti per gara per mancanza di reali alternative.
Sean East (Missouri). Settimana in discesa per il leading scorer dei Tigers: 20 punti facili con SIUE, poi solo 15 in totale con Minnesota e Jackson State. Coi primi ha rimediato mettendo il canestro della vittoria, ma coi secondi i suoi miseri 6 punti hanno contribuito a una sconfitta casalinga umiliante. Più che un capro espiatorio, è la spia di un problema generale. Mizzou sta facendo esperimenti – forse troppi – e alla fine della giostra ci sono solo tre giocatori (buoni ma non fenomenali) sui quali si può contare per fare risultato: Honor, Carter e appunto East.
Tyler Wahl (Wisconsin). Ci si aspettava di più dai Badgers, vista la conferma di tutto il quintetto base della scorsa stagione. Certo, le sconfitte sono arrivate contro squadre di Power 6 come Tennessee e Providence, ma resta la sensazione di un cantiere aperto. Emblema di questo inizio difficile, le prestazioni del leader della squadra Tyler Wahl, poco aggressivo, distratto e molto impreciso dalla lunetta (50%).
Wake Forest. Campanello d’allarme per coach Steve Forbes che pure sembrava in rampa di lancio, reduce da due stagioni con record positivo alla guida dei Demon Deacons. Al momento, se appena appena l’avversario è di medio livello, la squadra subisce. L’attacco tutto sommato gira: è la difesa che non funziona. E soprattutto la sensazione che la squadra nei finali punto a punto non abbia certezze alle quali aggrapparsi.
Charleston. Finora si è visto solo il fantasma della mid-major darling che aveva incantato l’anno scorso. Niente attacco spumeggiante, solo acqua di rubinetto dalla potabilità sospetta. Tutti, ma proprio tutti, stanno tirando malissimo: 24.4% da tre di squadra dopo 5 gare (#334 in Division I). Le sconfitte con Vermont e Wyoming in settimana sono maturate così. Diversa poi la storia con la debole Coastal Carolina, in cui i Cougars hanno tirato bene per la prima volta quest’anno. C’è dunque luce in fondo al tunnel ma anche tanta strada da fare.
Mackenzie Mgbako (Indiana). La piccola scusante è che l’attacco d’Indiana fa schifo in tutto e per tutto e si appoggia solamente al talento dei suoi giocatori in post, ma il freshmen 5 stelle è davvero un fantasma in campo. Non blocca, non taglia, non costruisce qualcosa con la palla in mano. A volte gli arriva un pallone con metri di spazio e prova a scoccare un tiro che puntualmente arriva corto al ferro. In difesa gli Hoosiers puntano tutto sulla taglia fisica e quindi il suo corpaccione di due metri qualcosa fa, ma rimane pochino per uno che in estate è stato il pezzo pregiato del reclutamento.
Saint Mary’s e Maryland, ancora qui. Evitiamo di tirare in ballo nelle pagelle la stessa squadra per due settimane di seguito, ma sia SMC che i Terps si guadagnano già la seconda bacchettata semplicemente perché è impossibile ignorare quel che hanno combinato nei giorni scorsi, specie nella metà campo offensiva. Saint Mary’s ha perso con San Diego State e Xavier, il che ci sta, ma non così: -25 e -17 senza nemmeno avvicinarsi a quota 60 punti segnati e scheggiando impietosamente i ferri (33.3% da due e 23.4% da tre). Maryland da par suo si è arresa a Villanova per 57-40 tirando come una squadra di liceali scarsi (7/24 da due e 5/26 da tre). L’unico lato positivo è che fare peggio di così è praticamente impossibile.