Home 9 NBA 9 Hanno atteso 13 anni, adesso i Kings ci credono

Hanno atteso 13 anni, adesso i Kings ci credono

Autore: Andrea Brambilla
Data: 20 Feb, 2019

Contro ogni pronostico estivo, i Sacramento Kings sono in corsa per i playoff, una qualificazione che manca da ben 13 anni. La squadra viaggia con il nono miglior attacco dell’intera NBA (113.4 PPG), sebbene siano 26esimi per punti concessi a 114.7, dietro perfino ai derelitti Knicks. Sono una squadra giovane e affiatata che ha tovato una sua identità sotto la guida di coach Dave Joeger. Una trasformazione impressionante rispetto al recente passato, quando l’obiettivo dichiarato fin dalla prima palla a due di stagione era arrivare al Draft con scelte alte. Ma come i Kings sono diventati una delle squadre più divertenti del periodo? Grazie a una combinazione tra scelte, crescita personale e mercato.

L’impatto di Marvin Bagley

La seconda chiamata al Draft 2018 (dopo DeAndre Ayton, prima di Luka Doncic), Marvin Bagley III sembra non aver sofferto il carico di responsabilità e, a parte un calo di produzione nel mese di dicembre, ha incrementato il suo apporto alla causa Kings in modo lineare. In questa prima metà di febbraio ha giocato la sua miglior pallacanestro: da inizio mese alla pausa per l’AllStar weekend il prodotto di Duke ha messo a referto 15.7 punti di media su 12 tentativi (49.3% di efficienza), e il 27% da tre punti su due tentativi a partita oltre l’arco. Non è molto, ma a novembre eravamo al 14% con un solo tentativo. I rimbalzi sono 8.7, gli assist 1.3 e le stoppate una a partita. Il rookie ex Duke è diventato in poco tempo una valida spalla per il centro titolare Willie Cauley-Stein e una delle pietre miliari del futuro di Sacramento.

La crescita dei giovani

Non è solo Bagley la ragione del miglioramento dei Kings. Quello che più conta è la crescita del nucleo giovane per efficienza e impatto sul team. A partire da De’Aaron Fox e Bogdan Bogdanovic. Per l’ex Kentucky si è passati da 11 punti della prima stagione ai 17 di questa, con un aumento di efficienza da due (46.1% in questa stagione, partendo da 41.2%) e da tre punti (dal 30.7% al 36.6%). Il tutto condito da 2.8 APG in più rispetto ai 4.4 della stagione da rookie. Minutaggio invariato per il serbo (28 minuti a partita) ma tre tiri in più a partita e tre punti in più di media (partiva da 9.9 tiri e 11.8 PPG). Impossibile non citare Nemanja Bjelica, arrivato in estate dopo aver voltato le spalle ai Philadelphia 76ers. L’ex Timberwolves registra 9.9 punti a partita con il 48% dal campo e il 42% da tre punti, tutti career-high. Ma dopo Fox il giocatore che ha più impressionato è Buddy Hield. Il bahamense, definito da Vivek Randivé “il nuovo Steph Curry” al suo arrivo in California come contropartita per DeMarcus Cousins, si è finalmente abituato al gioco Nba. Dopo due stagioni altalenanti, oggi è il miglior realizzatore (con 20.5 punti di media) e leader della squadra per percentuali di tiro, sia da due (47.5%) sia da tre (44.9%). Lavoro duro, consapevolezza dei propri mezzi e il tempo fisiologico di abituarsi alla realtà dei professionisti hanno fatto la loro parte e ora Hield è un vero gioiello californiano. Gioca bene da tre punti ma sa anche attaccare il ferro (con 2.1 tiri liberi presi a partita) e tirare dalla media. Si è ormai affermato come l’uomo dei canestri pesanti per questa squadra: contro Miami i Kings hanno vinto in volata anche grazie agli 8 punti realizzati da Hield nell’ultimo quarto. E la sua pericolosità da oltre l’arco costringe i difensori a non aiutare, trasformandosi in un centro di gravità che apre voragini per i compagni.

Anche Willie Cauley-Stein sembra aver trovato la maturità necessaria. Al suo quarto anno nella lega (e al secondo senza DeMarcus Cousins), il lungo sta giocando entro le sue capacità, abbandonando le peregrinazioni fuori dal pitturato in attacco. Con 28 minuti di impiego e 10 tiri presi, ha un’efficienza del 54% (18esimo giocatore in tutta la lega, alle spalle di Julius Randle). Ma è a livello difensivo che WCS ha mostrato più progressi: cattura 8.5 rimbalzi a partita, aumentando sia i rimbalzi difensivi (da 5.2 a 6.1) sia quelli offensivi (da 1.8 a 2.4). Una presenza fisica diventata estremamente importante per questi Kings, come ha fatto vedere nella partita contro i Denver Nuggets, dove tra imbeccate da parte di De’Aaron Fox e difese dure su Nikola Jokic e Jamal Murray ha saputo dire la sua, nonostante la sconfitta.

Il mercato

I risultati sorprendenti hanno convinto il gm Vlade Divac a velocizzare il progetto e rendere Sacramento una potenziale mina vagante per i prossimi mesi. Hield è la prima opzione offensiva da tre punti e il miglior realizzatore entro l’arco; De’Aaron Fox è il motore del gioco e la combinazione dei due è letale in contropiede. Si parlava già da diversi mesi di un possibile innesto, di un colpo di mercato che arrivasse per fare il salto di qualità e agguantare i playoff. I nomi erano quelli di Otto Porter Jr., Jeremy Lin e di Enes Kanter.

Nessuno si aspettava l’arrivo di Harrison Barnes a SacTo, soprattutto non a un prezzo così basso: Justin Jackson e il mai sceso in campo Zach Randolph. Nelle prime tre uscite in maglia Kings Barnes (subito in quintetto) non ha impressionato: 36 minuti e 12 tiri presi a partita al 35% di realizzazione. Ma la sua presenza copre un’evidente falla nelle rotazioni. L’ex Warriors non tira al momento come sperato da oltre l’arco, (30% su  6.7 tentativi dal campo), ma le percentuali si alzeranno una volta ambientatosi nel gioco dei Kings e sviluppato un’intesa con i compagni. Barnes è un tiratore affidabile in ogni situazione, se si esclude gara 7 delle Finals. Il ruolo di Barnes in questa Sacramento è cruciale: aprire il campo alle incursioni di De’Aaron Fox nel pitturato, ma anche creare soluzioni in isolamento contro la difesa schierata, sfruttando i mismatch creati dopo un cambio difensivo, vero tallone d’Achille dell’attacco dei Kings. Non servono isolamenti con la frequenze delle ultime due stagioni con i Dallas Mavericks (4.3 nella seconda stagione e 6.3 nei primi mesi di questa), ma Barnes offre una dimensione nuova a un attacco già pericoloso.

L’altro colpo di scena è la cessione di Iman Shumpert, anima veterana del team, agli Houston Rockets. Il campione Nba 2016 stava giocando la miglior stagione da un paio d’anni a questa parte e aveva un buon rapporto con i compagni e De’Aaron Fox in particolare, che non ha preso bene la sua partenza. Al suo posto è arrivato Alec Burks, via Cleveland. Tanto potenziale per l’ex Utah Jazz, ma mai del tutto espresso. In uscita dalla panchina può forse offrire un buon contributo e mettere qualche tripla, giocare minuti di buona difesa, ma l‘operazione era necessaria per aprire più minuti per Bogdanovic, Hield e Fox insieme, una combinazione che si è dimostrata letale. Un esperimento interessante – che coach Joerger potrebbe tentare o meno – è di affiancare a quel trio Bjelica e Barnes in quintetti ultra-piccoli per brevi spezzoni di gara.

Dove arriveranno

Il caso Anthony Davis e l’addio del GM Dell Demps hanno cancellato le residue speranze di postseason dei New Orleans Pelicans. I Kings sono ora noni, a una partita dai Clippers, e in vantaggio di due partite sui Lakers, che ancora non hanno trovato la quadratura del cerchio (la soluzione è un mese del vero LeBron James). Il calendario per Sacramento non è dei più facili: le prossime gare includono sfide a Warriors, Thunder, Timberwolves, Bucks e Clippers (avversari diretti). Ci saranno poi un match con i Lakers (e a seconda dei risultati, entrambi potrebbero essere obbligati alla vittoria), due con i Rockets e uno contro San Antonio. L’unico dubbio – oltre a un sempre possibile calo, fisiologico per tutte le squadre – è la tenuta mentale di un gruppo giovane che non ha mai giocato partite importanti a livello professionistico – con l’eccezione di Barnes. Ma la possibilità di rompere la maledizione della postseason è a portata di mano. La direzione è quella giusta, dopo anni di imbarazzi. Comunque vadano questi ultimi due mesi, questa stagione ha seminato ottimismo per il futuro.

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