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San Antonio Spurs, la direzione è ostinata e contraria

Autore: Paolo Mutarelli
Data: 23 Gen, 2020

C’è un detto nell’Nba che si sente e legge spesso ovvero “mentre tutte le squadre fanno Zig, squadra X ha fatto Zag”. Ed è stato coniato apposta per i San Antonio Spurs. D’altronde non si vincono cinque titoli in 20 anni e non si arriva a 22 edizioni dei playoff consecutive senza essere innovativi o lungimiranti. Ma dopo l’affaire Leonard, gli Spurs sono una squadra che affanna alla ricerca della propria identità, cardine della storia spursina. E sono diventati una squadra qualunque che rischia, seriamente, di non fare i playoff.

Sopravvalutati

Eppure, le promesse erano buone: una squadra da 48 vittorie, gara 7 contro Denver ai playoff, il ritorno di Murray che regalava una risorsa indispensabile in difesa e la maturazione del nucleo di giovani. Accanto, due veterani talentuosi quanto complicati da inserire tatticamente nell’Nba moderna. Il primo segnale negativo è stato il voltafaccia estivo di Marcus Morris. La sua firma ha costretto il front office degli Spurs a lasciare Davis Bertans, diventato uno dei migliori tiratori della lega. La rinuncia successiva, ha causato un buco nel roster nella posizione di 3/4 e nella strategia di San Antonio, ovvero avere due/tre ali capaci di essere interscambiabili difensivamente.

Poi i problemi sono arrivati a cascata. Il recupero di Dejounte Murray è stato più lungo del previsto e coach Gregg Popovich ha posto un tetto al suo minutaggio. Aldridge e DeRozan hanno alternato serata di dominio a serata di abulia totale. Derrick White era scontento del declassamento nella second unit, dove, peraltro, si sovrapponeva con Patty Mills nel ruolo. Trey Lyles è stato buttato in quintetto senza conoscere l’ABC del gioco spursino, lo slump al tiro di Marco Belinelli e il coaching staff abbastanza restio a mettere mano alle rotazioni. Quindi l’inizio 7-14 non è stato poi così sorprendente.

 

Nonostante tutto, le partite degli Spurs sono sempre state equilibrate e tirate, che siano contro Lakers o Clippers o contro Knicks o Wizards: -7 e -6 contro le angelene, +2, ma anche -6 contro Washington. La data di svolta è stata il 4 dicembre, giorno in cui San Antonio ha battuto Houston al secondo overtime, con una prestazione scintillante di Lonnie Walker III. Da lì, un onesto record di 12-9 per tornare in lotta. 

Non sono numeri da élite, ma è un miglioramento sostanziale per la corsa ai playoff

Anno nuovo, vecchie abitudini

Da quella partita contro Houston, San Antonio ha, piano piano, preso una forma diversa. La centralità di Aldridge è calata, diventando un tiratore dagli scarichi (ha triplicato le conclusioni da tre, 5.4 a partita) e lasciando a Dejounte Murray più spazio per attaccare il ferro, miglior dato stagionale, e tirare dal mid-range, produzione raddoppiato rispetto al mese di dicembre. In più, c’è stata la settimana da Ritorno al Futuro di DeMar DeRozan che ha crivellato chiunque dal mid-ranger, toccando vette di efficienza assoluta e vincendo il premio di miglior giocatore della settimana ad ovest.

Come detto da Zach Lowe in uno dei suoi podcast, San Antonio prende in attacco quei tiri che in difesa concede volentieri, ovvero il mid-range. Anche per questo, si è dovuto “costringere” LMA a diventare una sorta di stretch 4 perchè, a differenza di Murray che non tira da tre (un solo tentativo a partita), ha la mano per tirare. 

BasketballNcaa - San Antonio

Le ultime cinque gare sono quelle del 2020 (SAS-Boston giocata l’8/01). Le triple provengono da Aldridge, DeRozan e Murray

La squadra va ancora a corrente alternata. Ad inizio gennaio, contro Boston e Milwaukee, l’impatto con la gara è stato devastante. Boston è stata sopraffatta dall’inizio intenso e preciso degli Spurs, mentre sono riusciti a 106.1 punti su 100 possessi i Bucks (ovvero 9 punti in meno rispetto alla media stagionale, dati CtG). Subito dopo, è arrivata la sonora piallata contro Memphis in uno scontro diretto e hanno perso contro Atlanta in casa. Patty Mills è l’anima di questa squadra, il tedoforo della filosofia Spurs, che dipende dalla sua scossa elettrica dalla panchina. Miglior stagione per punti, la seconda per TS%, terza per eFG%, quarta per punti sui 36 minuti. Onnipresente nei finali (-1.9 di NetRtg, ma è uno dei migliori della squadra), coach Pop si fida del suo casino organizzato per spiazzare le difese.

Insieme a Mills nella second unit, si sta facendo spazio Jakob Poeltl, il vero centro della squadra (Lyles è principalmente un esterno). La sua mobilità gli permette di essere utile su entrambi i lati. Viaggia a 3.7 assist su 36 minuti, sfruttando la sua intelligenza e il tempismo per premiare i compagni. Insieme ad Aldridge, è tra i migliori in Nba per Screen Assist, 3.1, e il suo uso di perni e del tabellone gli permette di portare un apporto fisso alla squadra. Nei migliori quintetti difensivi della squadra, c’è sempre il nome di Poeltl. 

Numero 23?

Le ultime due sconfitte brucianti, per come sono arrivate, contro Miami e Atlanta hanno fatto allontanare gli Spurs dall’ottavo posto di Memphis di due partite. Il nucleo di giovani sta sempre guadagnando più importanza negli equilibri del roster. Lonnie Walker III è il glitch nel sistema rigido di San Antonio per come lo conosciamo. Ha un apporto fisico-atletico sconvolge, nel bene o nel male, gli equilibri di una partita. Uno scatto di atletismo dalla panchina che non si vedeva dai tempi del primo Ginobili dalla panchina.

White e Murray hanno giocato solo 26 minuti insieme in stagione, mentre Bryn Forbes potrebbe perdere presto il posto da titolare per via dei limiti fisici. Il core esperto ha una finestra di due anni. Rudy Gay, Aldridge e DeRozan (che ha la player option a fine anno) sono tutti in scadenza 2021 e potrebbero essere mossi per cercare di accumulare qualche asset. Ma il mercato non sembra direzionato perso questi giocatori. Quindi, tanto vale rimanere uniti e puntare ai playoff. 

FiveThirtyEight è estremamente pessimista sulle chance degli Spurs ai playoff (quarta colonna la percentuale di arrivo)

A San Antonio manca la vecchia identità

Negli ultimi due anni, è venuta a mancare proprio quella forza che li contraddistingueva e li portava ad essere una macchina da regular season, ovvero la loro identità incarnata nel triumvirato Duncan-Ginobili-Parker, e dalla legione straniera, e passata poi a Leonard. Ma questa forza che pareva indistruttibile è caduta a causa del processo più importante dell’ultimo decennio NBA: l’empowering dei giocatori.

Kawhi Leonard è sembrato davvero uno di quegli automi, alla Westworld o alla Rutger Hauer in Blade Runner, che ha preso, piano piano, consapevolezza del proprio talento e della propria importanza all’interno di un sistema altamente democratico come quello spursiano, fino a forzare la cessione. La grande forza di Popovich è stata rimodellare la squadra con principi anti moderni, rimanere competivi e allo stesso tempo creare un core futuribile. Ostinatamente contrari, gli Spurs hanno tutte le carte in regole per arrivare ai playoff, ma se non fosse così è stato bello viverli. 

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