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Abmas e Obanor, ovvero Batman e Robin al Ballo

Max Abmas Kevin Obanor Oral Roberts March Madness 2021
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 26 Mar, 2021

Come sempre accade coi grandi giocatori, le parole e le azioni vanno a braccetto. Max Abmas, scricciolo di 185 cm per 73 kg che fa impazzire la Ncaa coi suoi 24.5 punti di media, un anno fa steccò di brutto una semifinale di conference contro North Dakota State (2 punti a referto, 0/7 dal campo) e, a questo proposito, ebbe da dire: “È una di quelle sensazioni che non vuoi provare più di una volta”. Beh, da allora ha solo e soltanto vinto le partite dentro-o-fuori che ha disputato, per di più giocando sempre alla grande.

Abmas è anche uno che diceva di voler andare a Oral Roberts con l’obiettivo di cambiare la traiettoria di un programma che non era stato vincente per un bel po’ di tempo (record 44-80 nelle quattro stagioni precedenti il suo arrivo). Detto, fatto. ORU adesso è la Cenerentola più entusiasmante di questo Torneo Ncaa e, arrivata a giocarsi le Sweet 16 con Arkansas, ha la possibilità di diventare la prima seed numero 15 nella storia della March Madness a raggiungere le Elite Eight.

Basta un uomo solo per un’impresa simile? Certo che no. Ci vogliono un allenatore all’altezza (chapeau, coach Paul Mills) e un gruppo coeso, ben assortito. E ci vuole anche una spalla fidata, un altro giocatore talentuoso abbastanza da amplificare il tipo di minaccia offensiva che il leading scorer della Division I è capace di rappresentare. Non c’è Batman senza Robin per le speranze di Gotham City (tranne che per Christopher Nolan, ma pazienza) e non c’è Max Abmas senza Kevin Obanor per i sogni di Oral Roberts.

L’allarme scatta appena passano la metà campo

Contro Ohio State, Abmas e Obanor hanno messo insieme 59 punti in due. Contro Florida, 54. Parliamo di quasi tre quarti dei punti segnati da ORU, tirando con un 18/39 da due (46.2%), 16/36 da tre (44.4%) e 29/34 ai liberi (85.3%). Per produrre così tanto e in maniera tanto efficiente, le abilità individuali non bastano di per sé: occorre che siano complementari fra di loro. Ed è proprio il caso del duo texano trapiantato a Tulsa.

Con alcuni senior di rilievo out, Abmas sapeva che avrebbe avuto un ulteriore carico di responsabilità quest’anno. È per questo che ha deciso di porre l’accento sulle soluzioni dal palleggio nel lavoro svolto durante l’offseason. Dire che i risultati ci sono, è poco. L’efficienza e il raggio d’azione del suo pull up game lasciano a bocca aperta: è una minaccia istantanea nel momento in cui passa la metà campo palla in mano, perché non c’è distanza che gli sia proibita per buttarla dentro. Qualcuno ha detto che, per lui, la linea da tre rappresenta più un suggerimento che una demarcazione: non a caso, il 27.9% dei suoi tiri vengono scoccati da una distanza compresa fra 7.5 e 9 metri senza che la sua efficienza ne risenta.

 

Ed è qui che entra in gioco Obanor (19 punti di media quest’anno), altra tremenda insidia perimetrale, uno che a ORU si presentò mettendo giù 20mila tiri in allenamento nel giro di sei giorni anziché entro le sei settimane date da Mills per ottemperare a quest’obbligo che viene dato a tutte le nuove reclute.

Se Abmas tira da tre col 43.1% su 8.3 tentativi (di cui meno della metà assistiti), Obanor dice la sua con un impressionante 47% su 4.3 conclusioni, risultando di fatto come il giocatore di pick and pop più produttivo dell’intera Division I: 1.154 punti per possesso (3.6 conclusioni) stando ai dati di Synergy. Per volume ed efficienza, Luka Garza è quello che gli va più vicino, eppure resta ben distante (1.311 PPP, ma con poco più della metà di conclusioni prese rispetto a Obanor).

 

Quando Obanor, ala di 203 cm per 102 kg, porta il blocco alto, i casi sono due per la difesa: concedere quel poco di spazio che Abmas può però punire tranquillamente con una tripla, o stargli attaccato ma cedendo il fianco a un probabile pick and pop con Obanor dall’esito finale simile. Scegli il tuo veleno, stai loro attaccato, spera di tenere botta sui mismatch creati (con Abmas, c’è da farsi il segno della croce quando ti punta palla in mano) e di non sbilanciare troppo la difesa, pena essere infilato da qualcun altro di ORU al termine di un bel giro palla.

Altissima minaccia da oltre l’arco (metteteci anche Kareem Thompson col suo 40%), triple a profusione, spaziature rispettate perfettamente, ottima cura presa del pallone (#15 in D-I per Turnover %), un direttore d’orchestra letale dal palleggio ma mai egoista: l’attacco di Oral Roberts sembra quello di una Cenerentola creata in laboratorio. Una ricetta che rasenta la perfezione. Non resta da vedere se Arkansas, meglio attrezzata di Ohio State e anche di Florida per mettere granelli di sabbia nell’ingranaggio di ORU, riuscirà davvero a mettere fine alla favola o se invece assisteremo a una nuova pagina di storia del basket Ncaa.

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