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Alice Recanati, matricola terribile di EKU

Alice Recanati Eastern Kentucky
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 9 Feb, 2021

Avrete già notato che, nelle nostre cronache sulle ragazze italiane del college basketball, c’è un nome nuovo che spesso fa capolino tra quelli già molto ben conosciuti di Lorela Cubaj ed Elisa Pinzan. Parliamo di Alice Recanati, al primo anno fra le fila di Eastern Kentucky.

L’ex Reyer Venezia e Sistema Rosa Pordenone non ha perso tempo e si è guadagnata subito un posto di titolare: 8.6 punti e 3.4 assist di media per lei dalla cabina di regia delle Colonels, con un career-high di 22 punti che di recente le è valso il premio di Freshman of the Week nella Ohio Valley.

A vederla in campo, sembra che tutto venga facile. Ma di facile e scontato non c’è mai nulla, specie quando sei una matricola. Ne abbiamo parlato con Alice, che a EKU compone un trio italiano tutto da seguire nei prossimi anni con Dafne Gianesini e Clara Rosini.

Eastern Kentucky Alice Recanati Dafne Gianesini Clara Rosini

Le ragazze di EKU, con le tre italiane a destra: Alice Recanati (#30), Dafne Gianesini (#23), Clara Rosini (#25).

 

Una cosa che risalta subito nel tuo gioco è il ball handling. Tra l’altro di recente hai anche messo a sedere un’avversaria…

La scorsa partita, sì. [ride]

Proviamo un po’ a immaginare te che arrivi nel campus, ci sono delle compagne che non ti conoscono e cominci a mostrare qualche numero, a far vedere che tratti il pallone in un certo modo. Sono rimaste sorprese nel vedere una matricola che gioca così?

Sì, non so se è perché non se l’aspettassero, non lo so. Il ball handling è sempre stata la cosa che mi piace più di tutte, è un po’ la mia specialità.

Quindi si può dire che l’impatto sia stato buono?

Non è stato tanto facile, più che altro perché io faccio molta fatica con l’inglese. Quindi anche negli allenamenti io mi trovavo un po’ in difficoltà, non parlavo, quindi loro mi lasciavano un po’ da parte, non trovavano fiducia in me.

A proposito d’inglese. Di ragazze europee a Eastern Kentucky, negli scorsi anni, nemmeno l’ombra. E avere una tradizione di reclutamento international può aiutare a inserirsi, come abbiamo visto quando ne abbiamo parlato con Elisa Pinzan, che gioca in una squadra, South Florida, che è davvero una piccola unione europea.

Qui l’anno scorso c’era Antonia Peresson nello staff. Quindi da loro ho avuto il contatto per l’università. Non è stato così difficile l’impatto perché siamo tre italiane qui e ci aiutiamo a vicenda con la lingua. Io non so le altre ragazze italiane al college, ma qui quando l’allenatrice parla, lo fa a raffica. Non dico che debba parlare piano a posta o che io debba continuare a fare domande se non capisco, però delle volte non si rende conto che noi non capiamo.

Quello è un classico quando non sei abituato ad avere giocatrici straniere. Però se a EKU dovessero arrivare altre atlete da fuori, piano piano se ne accorgerà anche lei…

Sì. Poi parlo più che altro per me, perché sono quella che fa più fatica con l’inglese. [ride]

Alice Recanati Eastern Kentucky Murray State

Alice Recanati

Lo sai che te, Clara e Dafne pareggiate un record che riguarda proprio Peresson? Nella stagione 2017-18, c’erano appunto tre italiane a Georgia Tech: lei, Francesca Pan e Lorela Cubaj. Te l’ha detto?

Sì, me l’ha detto, ma eviterei di fare paragoni, non c’è proprio confronto! [ride]

Il fatto che siate in tre colpisce molto anche perché siete arrivate lì tutte insieme nel mezzo di una pandemia che ha cambiato parecchie carte in tavola per quanto riguarda il reclutamento estero.

Noi siamo state abbastanza fortunate, perché sia io che Dafne avevamo appuntamento per prendere il visto a settembre, e Clara forse ancora più tardi. Poi da un giorno all’altro ci è arrivata la mail in cui ci dicevano che avevo spostato l’appuntamento a fine luglio. Quindi nel giro di una settimana abbiamo preso il visto, fatto le valigie e siamo partite.

Ritornando al basket, ma anche al discorso della lingua. Visto che all’inizio, a livello di comunicazione, l’impatto era stato difficile, ti immaginavi di poter avere un ruolo da titolare già adesso?

Non mi aspettavo assolutamente d’iniziare così, più che altro per via del mio ruolo da playmaker, visto che ho bisogno di gestire la squadra, organizzarla, e ho responsabilità nella comunicazione.

Quali sono le differenze maggiori che stai riscontrando col basket che stai trovando lì rispetto a quello italiano?

Penso che la differenza più grande sia quella della velocità di gioco: c’è molta più intensità anche perché, credo, c’è molto più atletismo. Poi anche il fatto di avere trenta secondi sul cronometro dell’azione e quindi avere più tempo per organizzare il gioco. Un’altra differenza, sono i passi: me ne fischiano un sacco nel muovere il piede perno, però non so se sono solo io! [ride]

Probabilmente no. Ci ricordiamo di quando avevamo parlato con Gabriele Stefanini ai suoi inizi e ci aveva detto che, al primo anno di high school, gli venivano fischiati passi per quelli che, per lui, erano dei normali arresti in due tempi. Poi ci ha fatto l’abitudine…

Sì, anche io adesso mi sto adattando.

Com’è la vita al campus con una pandemia di mezzo? Riesci a vivere un po’ il contesto in un momento in cui la socialità in generale è più bassa?

Usciamo soltanto con le nostre compagne di squadra, ma oltre a quello non conosco nessun altro. Quasi tutte le lezioni sono online, ne ho qualcuna di persona ma siamo tutti distanziati. Anche quando non ci sono troppe restrizioni – per esempio i ristoranti sono aperti – non vogliamo correre rischi di saltare partite per andare a mangiare qualcosa.

Un po’ tosta come routine.

Le giornate sono sempre piene, però non è così facile staccare da basket e università.

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